Bisogna amare sempre per capire fino a che punto può arrivare la nostalgia
La curandera e lo sciamano
di Pierfranco Bruni
Una curandera degli occhi di mare osservò le foglie di una palma. Aveva tra le mani la sabbia dei deserti attraversati lungo le memorie non vissute.
La curandera e lo sciamano
di Pierfranco Bruni
Una curandera degli occhi di mare osservò le foglie di una palma. Aveva tra le mani la sabbia dei deserti attraversati lungo le memorie non vissute.
“Il tarlo è piccolo, ma può abbattere grandi alberi”. Quando ascolto questo proverbio cerco tra le mie carte a quale popolo possa appartenere. Un popolo che racconta incontro di etnie e linguaggi. I Maori. Una nobile dinastia tra le etnie non scomparse.
Ogni etnia sembra vivere l’assurdo. L’assurdo può osservarsi allo specchio? Cosa pensa di poter catturare?
Cosa vorrebbe catturare? L’assurdo si perde dietro ogni angolo di cielo e chiede al vento di essere paziente e di dedicare un gesto di silenzio per porsi in ascolto. In ascolto di cosa?
Le nuvole sparse danno un segnale ai colori cangianti che vibrano da un’onda di cielo ad un’onda di mare. Si respira un profumo di deserto che ha odore di sale asciugato sulla roccia. Lo sciamano prega.
Tutti i silenzi sono nel suo vissuto. Tutti i pensieri sono nel suo silenzio. Non è possibile ascoltarlo. E i pensieri sono voci taciute nel giro tondo delle alchimie. Prega il dio del Sole e la Luna è un cader di ombre sul cammino e lungo i passi nel battuto dell’attesa.
Si va sempre oltre e quando si tocca l’oltre scendono i gesti a raccolgono le parole non dette per custodirle e pronunciarle nel giorno dei linguaggi.
Un’antica tradizione racconta che ci sono giorni lunghi nei quali si coltivano le voci e ogni voce porta con sé un vocabolario di lingue, di alfabeti, di conoscenze.
Poi tutto scompare e sembra vivere in un accampamento dei Maori. Una civiltà normale. Ma non esistono civiltà normali. I Maori hanno gli dei della terra, del mare, della guerra.
I tatuaggi del popolo sono cifre di racconti. Una civiltà tatuata che lascia al linguaggio dei simboli e del coloro la storia.
Una storia che non conosce il reale, ma soltanto il tempo. Vivono in Polinesia, nella zona nord della Nuova Zelanda. Esercitano il mestiere della musica e della danza. Ancora oggi sono circa settecentomila e sanno come si differenzia una tradizione e il presente.
Le donne maori hanno il sorriso malinconico e la pelle è un abbronzato che ha linee di oro.
Un arcaico pensiero che mi ha lasciato un saggio maori dice:
“Volta il viso verso il sole e le ombre cadranno dietro di te”.
Mi accompagna sempre. E lo sciamano che ho lasciato in preghiera non fa altro che ripetere questa frase.
La saggezza dei Maori sembra un canto che ha ospitalità e accoglienza. Ha la pazienza del popolo dei Nativi d’America e sembra ascoltare leggendo i loro canti le parole di Toro Seduto quando affermava:
“Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete. Il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero per noi è chi sacrifica sé stesso per il bene degli altri. È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a sé stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell'umanità”.
La musica di questo popolo risveglia segreti e le donne conoscono bene il linguaggio dei tatuaggi dei loro uomini. Ma intanto lo sciamano non ha smesso di pregare.
Il popolo Maori è una civiltà di fiumi e montagne e la loro lingua è un vocabolario di colori parlanti incise sulla pelle. I tatuaggi sono richiami.
Echi, la conchiglia ha voci. Bisogna amare sempre per capire fino a che punto può arrivare la nostalgia. Lo sciamano guardo il silenzio e il vento portò via ogni desiderio.
C’era una volta uno sciamano che disse ad una curandera:
“Non perdere i silenzi nel deserto perché il deserto potrebbe diventare un urlo della pioggia.
Non perdere la collana che porti tra le parole potresti diventare assenza.
Non contare mai il viaggio delle ore diventeresti tempo”.
Tutto si intrecciò. Rimase solo un uomo antico seduto su una pietra e poi il tempo sparì.
Era uno stregone Maori.
Ogni etnia sembra vivere l’assurdo. L’assurdo può osservarsi allo specchio? Cosa pensa di poter catturare?
Cosa vorrebbe catturare? L’assurdo si perde dietro ogni angolo di cielo e chiede al vento di essere paziente e di dedicare un gesto di silenzio per porsi in ascolto. In ascolto di cosa?
Le nuvole sparse danno un segnale ai colori cangianti che vibrano da un’onda di cielo ad un’onda di mare. Si respira un profumo di deserto che ha odore di sale asciugato sulla roccia. Lo sciamano prega.
Tutti i silenzi sono nel suo vissuto. Tutti i pensieri sono nel suo silenzio. Non è possibile ascoltarlo. E i pensieri sono voci taciute nel giro tondo delle alchimie. Prega il dio del Sole e la Luna è un cader di ombre sul cammino e lungo i passi nel battuto dell’attesa.
Si va sempre oltre e quando si tocca l’oltre scendono i gesti a raccolgono le parole non dette per custodirle e pronunciarle nel giorno dei linguaggi.
Un’antica tradizione racconta che ci sono giorni lunghi nei quali si coltivano le voci e ogni voce porta con sé un vocabolario di lingue, di alfabeti, di conoscenze.
Poi tutto scompare e sembra vivere in un accampamento dei Maori. Una civiltà normale. Ma non esistono civiltà normali. I Maori hanno gli dei della terra, del mare, della guerra.
I tatuaggi del popolo sono cifre di racconti. Una civiltà tatuata che lascia al linguaggio dei simboli e del coloro la storia.
Una storia che non conosce il reale, ma soltanto il tempo. Vivono in Polinesia, nella zona nord della Nuova Zelanda. Esercitano il mestiere della musica e della danza. Ancora oggi sono circa settecentomila e sanno come si differenzia una tradizione e il presente.
Le donne maori hanno il sorriso malinconico e la pelle è un abbronzato che ha linee di oro.
Un arcaico pensiero che mi ha lasciato un saggio maori dice:
“Volta il viso verso il sole e le ombre cadranno dietro di te”.
Mi accompagna sempre. E lo sciamano che ho lasciato in preghiera non fa altro che ripetere questa frase.
La saggezza dei Maori sembra un canto che ha ospitalità e accoglienza. Ha la pazienza del popolo dei Nativi d’America e sembra ascoltare leggendo i loro canti le parole di Toro Seduto quando affermava:
“Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete. Il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero per noi è chi sacrifica sé stesso per il bene degli altri. È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a sé stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell'umanità”.
La musica di questo popolo risveglia segreti e le donne conoscono bene il linguaggio dei tatuaggi dei loro uomini. Ma intanto lo sciamano non ha smesso di pregare.
Il popolo Maori è una civiltà di fiumi e montagne e la loro lingua è un vocabolario di colori parlanti incise sulla pelle. I tatuaggi sono richiami.
Echi, la conchiglia ha voci. Bisogna amare sempre per capire fino a che punto può arrivare la nostalgia. Lo sciamano guardo il silenzio e il vento portò via ogni desiderio.
C’era una volta uno sciamano che disse ad una curandera:
“Non perdere i silenzi nel deserto perché il deserto potrebbe diventare un urlo della pioggia.
Non perdere la collana che porti tra le parole potresti diventare assenza.
Non contare mai il viaggio delle ore diventeresti tempo”.
Tutto si intrecciò. Rimase solo un uomo antico seduto su una pietra e poi il tempo sparì.
Era uno stregone Maori.