Cadono sempre tre melagrani, o forse non sempre
di Pierfranco Bruni
La prima melagrana è per chi è convinto che mille parole non fanno un pensiero…
La seconda è per chi non smette di credere che il Monte Ararat è il sacro nel mistero…
La terza è per chi ha racchiuso le pagine del libro in un cassetto ed ha perduto la chiave…
di Pierfranco Bruni
La prima melagrana è per chi è convinto che mille parole non fanno un pensiero…
La seconda è per chi non smette di credere che il Monte Ararat è il sacro nel mistero…
La terza è per chi ha racchiuso le pagine del libro in un cassetto ed ha perduto la chiave…
Era giunta da una terra chiama Oriente. Forse aveva raccontato favole. Forse aveva vissuto il silenzio delle parole. Sono spazi immensi e spazi che toccano le corde del tempo. Le luci hanno sempre il colore del tramonto. È un tramonto sul mare e il mare conosce gli orizzonti che segnano le rughe tra l’Occidente e l’Oriente.
Mi disse: “Io vivo di paesi che abitano l’anima delle strade… Si svegliano nell’alba che non è ancora giorno e si addormentano nella sera che ha l’imbrunire negli occhi… A volte resto appoggiata sulla balconata e non mi chiedo se il mio sguardo risponde alle stagioni, anche se ogni stagione, dalle nostre parti, ha le sue sfumature, i suoi dettagli, i suoi silenzi o le sue lingue…”.
Le parole sono un linguaggio e il linguaggio ha ritmi, accenni, vocalizzi che portano il vento delle contaminazioni…
Ora, il mare soffia un vento d’altura e ci sono echi che sono dialetti nel suono del mondo arabo.
Nel gioco delle pause delle vicinanze balcaniche, in una musica che sembra una danza andalusa che fa ondulare le gonne delle donne che camminano a piedi nudi…
L’immaginario si trasforma in immagine e le immagini, qui, sono appartenenza, tradizione, canto, eros, sensualità, rabbia, paura, naufragi…
Questi luoghi sono un intreccio di eredità…
C’era una volta una civiltà che si è persa senza raccogliere ciò che custodito avrebbe avuto un senso… Forse resterà lontano da questo tempo un ricordo e non so se diventerà memoria…
Mi parlò ancora: “…noi siamo stati greci e prima e dopo abbiamo ascoltato i sufi danzanti e il silenzio dei dervisci… e le croci nei viaggi immensi delle rotte nel paesaggio delle sabbie e delle acque e le lune… tagliate in falce nell’ascolto delle cinque preghiere nel tempo delle ortodossie che segnano il cammino delle civiltà…
Tra un’etnia e i popoli i passi segnano la storia… Ma io sono Armena e vivo le ferite nell’anima, quelle ferite che restano un taglio nel popolo…”.
Ed io osservando i suoi occhi fissi tra i fili dell’attesa ho detto: “Ho tanto viaggiato e ogni città ogni deserto ogni mare ogni paese mi sembra, tutto ciò, di averlo abitato non solo come geografia dello sguardo e nel reale…
Queste terre e questi mari mi hanno abitato perché hanno abitato la mia coscienza, il mio cuore, i miei occhi, il mio vivere tra i pensieri e le parole…
Abitare i popoli è stato come abitare il passaggio oltre il limite della geografia stessa…
E non smetto di viaggiare perché queste rughe, tra Occidente ed Oriente, sono il mio Mediterraneo… i miei Mediterranei che camminano dentro di me ed io li custodisco per le memorie che hanno tracciato, per il tempo disegnato negli spazi, per gli odori di sale e di miele che hanno lasciato sulle mie labbra…”.
Poi ho aggiunto: “Sarashil…tu che giungi come vento di distanze tra epoche e secoli mi chiedi cosa è il Mediterraneo…
I Mediterranei… Anche l’Armenia ha il suo Mediterraneo nel canto di Costantinopoli…
Cosa è il mio Mediterraneo?
Ed io dovrei risponderti?
Non è mai stata una cartolina…
Neppure un album di fotografie…
Neppure uno scatto dietro l’altro tra popoli che hanno vissuto e non smettono di essere fuga vivendola…
Non è fatto neppure di peperoncini appesi ai balconi… o di antropologie che raccontano di genti che conoscono lontananze…
Bisogna abitarlo abitarli per viverlo viverli e bisogna portarne dentro le cicatrici di antichi silenzi e di memorie che urlano il canto dei meridiani sin dagli Oceani… e attraversano le onde di Ulisse, la profezia di Enea, la pazienza di Paolo nell’agorà, il suono delle parole dei Muezzin…”.
Poi, senza lasciare tempo ad una sua risposta, ho ricamato sul mio già detto: “Cosa vorrai chiedere ancora o cosa vorresti che io dicessi di questo mio Mediterraneo… che ha ferite di epoche tra il cuore di Cleopatra e le navi di Cesare…
Nulla potrò più dirti tra i naufragi e le isole che raccolgono l’assenza, il perduto e la speranza…
Ci sei e mi osservi… Porti negli occhi la dolcezza e i tuoi capelli sono radici…
Sul capo un velo che appena ti scende sulle spalle e tra le mani una rosa del deserto… Danza il tuo Oriente con l’alchimia dei sogni e lasciami come eco il suono dei Mediterranei che sono in te… che sono in me…”
E lei, con molta pazienza, mi ha semplicemente sussurrato: “Tu che conosci l’infinito…Prendi le mie mani…E vivimi. Nell’immensa preghiera dei Mediterranei…Io dal faro dei porti e delle isole ascolterò…”.
C’era una volta, o forse c’era una volta, una donna venuta da lontano e portava nel cuore il mistero del monte Ararat…
Mi parlò ed io ascoltai la luna che custodiva nel suo sguardo…
Cadono sempre tre melagrani, o forse non sempre, ma questa volta le ho raccolte mentre il vento le spingeva sulle mie mani…
La prima melagrana è per chi è convinto che mille parole non fanno un pensiero…
La seconda è per chi non smette di credere che il Monte Ararat è il sacro nel mistero…
La terza è per chi ha racchiuso le pagine del libro in un cassetto ed ha perduto la chiave…
Ognuno di noi è convinto che la melagrana nasconde sempre un mistero… Bisogna saper leggere nei colori…
Verrà un giorno in cui si dirà…
Bisogna avere pazienza…. per raccogliere ciò che le tredici lune custodiscono e così le sette porte lasceranno che il vento diventi respiro…
Mi disse: “Io vivo di paesi che abitano l’anima delle strade… Si svegliano nell’alba che non è ancora giorno e si addormentano nella sera che ha l’imbrunire negli occhi… A volte resto appoggiata sulla balconata e non mi chiedo se il mio sguardo risponde alle stagioni, anche se ogni stagione, dalle nostre parti, ha le sue sfumature, i suoi dettagli, i suoi silenzi o le sue lingue…”.
Le parole sono un linguaggio e il linguaggio ha ritmi, accenni, vocalizzi che portano il vento delle contaminazioni…
Ora, il mare soffia un vento d’altura e ci sono echi che sono dialetti nel suono del mondo arabo.
Nel gioco delle pause delle vicinanze balcaniche, in una musica che sembra una danza andalusa che fa ondulare le gonne delle donne che camminano a piedi nudi…
L’immaginario si trasforma in immagine e le immagini, qui, sono appartenenza, tradizione, canto, eros, sensualità, rabbia, paura, naufragi…
Questi luoghi sono un intreccio di eredità…
C’era una volta una civiltà che si è persa senza raccogliere ciò che custodito avrebbe avuto un senso… Forse resterà lontano da questo tempo un ricordo e non so se diventerà memoria…
Mi parlò ancora: “…noi siamo stati greci e prima e dopo abbiamo ascoltato i sufi danzanti e il silenzio dei dervisci… e le croci nei viaggi immensi delle rotte nel paesaggio delle sabbie e delle acque e le lune… tagliate in falce nell’ascolto delle cinque preghiere nel tempo delle ortodossie che segnano il cammino delle civiltà…
Tra un’etnia e i popoli i passi segnano la storia… Ma io sono Armena e vivo le ferite nell’anima, quelle ferite che restano un taglio nel popolo…”.
Ed io osservando i suoi occhi fissi tra i fili dell’attesa ho detto: “Ho tanto viaggiato e ogni città ogni deserto ogni mare ogni paese mi sembra, tutto ciò, di averlo abitato non solo come geografia dello sguardo e nel reale…
Queste terre e questi mari mi hanno abitato perché hanno abitato la mia coscienza, il mio cuore, i miei occhi, il mio vivere tra i pensieri e le parole…
Abitare i popoli è stato come abitare il passaggio oltre il limite della geografia stessa…
E non smetto di viaggiare perché queste rughe, tra Occidente ed Oriente, sono il mio Mediterraneo… i miei Mediterranei che camminano dentro di me ed io li custodisco per le memorie che hanno tracciato, per il tempo disegnato negli spazi, per gli odori di sale e di miele che hanno lasciato sulle mie labbra…”.
Poi ho aggiunto: “Sarashil…tu che giungi come vento di distanze tra epoche e secoli mi chiedi cosa è il Mediterraneo…
I Mediterranei… Anche l’Armenia ha il suo Mediterraneo nel canto di Costantinopoli…
Cosa è il mio Mediterraneo?
Ed io dovrei risponderti?
Non è mai stata una cartolina…
Neppure un album di fotografie…
Neppure uno scatto dietro l’altro tra popoli che hanno vissuto e non smettono di essere fuga vivendola…
Non è fatto neppure di peperoncini appesi ai balconi… o di antropologie che raccontano di genti che conoscono lontananze…
Bisogna abitarlo abitarli per viverlo viverli e bisogna portarne dentro le cicatrici di antichi silenzi e di memorie che urlano il canto dei meridiani sin dagli Oceani… e attraversano le onde di Ulisse, la profezia di Enea, la pazienza di Paolo nell’agorà, il suono delle parole dei Muezzin…”.
Poi, senza lasciare tempo ad una sua risposta, ho ricamato sul mio già detto: “Cosa vorrai chiedere ancora o cosa vorresti che io dicessi di questo mio Mediterraneo… che ha ferite di epoche tra il cuore di Cleopatra e le navi di Cesare…
Nulla potrò più dirti tra i naufragi e le isole che raccolgono l’assenza, il perduto e la speranza…
Ci sei e mi osservi… Porti negli occhi la dolcezza e i tuoi capelli sono radici…
Sul capo un velo che appena ti scende sulle spalle e tra le mani una rosa del deserto… Danza il tuo Oriente con l’alchimia dei sogni e lasciami come eco il suono dei Mediterranei che sono in te… che sono in me…”
E lei, con molta pazienza, mi ha semplicemente sussurrato: “Tu che conosci l’infinito…Prendi le mie mani…E vivimi. Nell’immensa preghiera dei Mediterranei…Io dal faro dei porti e delle isole ascolterò…”.
C’era una volta, o forse c’era una volta, una donna venuta da lontano e portava nel cuore il mistero del monte Ararat…
Mi parlò ed io ascoltai la luna che custodiva nel suo sguardo…
Cadono sempre tre melagrani, o forse non sempre, ma questa volta le ho raccolte mentre il vento le spingeva sulle mie mani…
La prima melagrana è per chi è convinto che mille parole non fanno un pensiero…
La seconda è per chi non smette di credere che il Monte Ararat è il sacro nel mistero…
La terza è per chi ha racchiuso le pagine del libro in un cassetto ed ha perduto la chiave…
Ognuno di noi è convinto che la melagrana nasconde sempre un mistero… Bisogna saper leggere nei colori…
Verrà un giorno in cui si dirà…
Bisogna avere pazienza…. per raccogliere ciò che le tredici lune custodiscono e così le sette porte lasceranno che il vento diventi respiro…