C’è un Mediterraneo di generazioni tra i
passi della mia vita e le memorie immense dei viaggi… L’America e l’Africa
restano destino
Non ci fu soltanto il Barocco e il Seicento.
Una storia e un destino che hanno la loro rappresentazione in un Occidente frastagliato da influenze francesi e spagnole. C’è un Mediterraneo diffuso che tocca il mare e il deserto.
Il mare è immenso e l’immenso mare è un viaggio.
Oltre il Barocco, che si estende in generazioni e spazi di una infinita geografia, ci sono le Americhe che hanno toccato il viaggio dei miei destini, che sono dentro generazioni di uomini, di famiglie, di civiltà.
C’è l’Albania… L’Albania di Giulia Gaudinieri e dei Guaglianone…
Io mi porto dentro il destino di generazioni.
Mio padre nel raccontarmi il viaggio di zio Giovannino nelle Americhe mi ha sempre parlato dei Mari del Sud.
I Mari del Sud. Attraverso confini di parole che sono diventati pensieri e i pensieri hanno il fuoco del ricordo…
E sì che non lo sapevo…
Dico meglio.
Quando ho scritto il mio libro dedicato completamente a mio padre “Come un volo d’aquila” non ero a conoscenza che lo stemma di famiglia, della famiglia Gaudinieri, la mamma di mio padre, fosse, appunto un’aquila.
Io non ho mai creduto al caso.
Ma c’è sempre il destino che detta gli orizzonti e il senso.
Non ero a conoscenza dell’aquila che si è fermata a dialogare negli ultimi istanti con mio padre nel momento in cui ha intrapreso il suo viaggio.
Eppure una voce mi ha suggerito che dovevo intitolare quel libro non dimenticando mai il volo dell’aquila.
Un simbolo che, comunque, mi ha accompagnato e mi accompagna nei miei studi sugli sciamani e la magia, ed io sciamano, tra gli archetipi e i tagli dei miti, ho sempre amato la solitudine e la forza dell’aquila.
Neppure mio padre era a conoscenza che lo stemma della sua appartenenza fosse raffigurato da un’aquila. Reale. Già, Reale. E lo stemma è lì, in quel Palazzo Gaudinieri di Acri.
Ma l’aquila ha il volo delle praterie, degli Indiani d’America, dei fiumi che scorrono come acque nei venti degli anni.
Le aquile, sostano sui rami della palma, dialogano con le tartarughe e le tartarughe hanno le loro tredici lune. Ma sono cose che ho già scritto in altre pagine prima di intraprendere questo camminamento.
E se l’Occidente è Francia e America, ci sono gli Orienti che catturano i miei voli di aquila fino a toccare le terre dell’Africa.
Io, che sono un “africanista” e un mediterraneista, so che una piccola parte della famiglia ha vissuto l’Africa.
Quell’Africa dell’Eritrea, di Asmara, delle capanne e dei luoghi magici…
Ci sono Bruni che hanno toccato e vissuto l’Africa e si portano nelle vene il sangue di quell’Africa che si lega al mio mai smarrito Mediterraneo.
C’è il vento caldo.
I cinque fratelli giocano la loro consueta pomeridiana partita a scopone.
Il tavolo è dispari. Cinque. Tre più due. Ovvero tre che sono partiti e hanno lasciato il paese e due che sono rimasti in paese. Ora si sono ritrovati per non slegarsi più tra le generazioni che hanno incrociato continenti.
Un cugino di mio padre, Adolfo, e dei cinque fratelli, è stato in Africa.
Il tempo è stato un attraversamento.
Avrei voluto incontrarlo oggi e farmi spiegare cosa è e cosa è stata quell’Africa. Ha sposato una donna di una magia africana.
La ricordo. Aveva sulla fronte un segno, forse una croce, chiederò meglio, un simbolo e aveva gli occhi profondi come il cuore dell’Africa, di quell’Africa che ha raccontato pezzi di una storia d’Italia.
Ma è vero il tempo ci attraversa.
Uno zio in America. Un cugino in Africa. L’Occidente e l’Oriente.
Siamo fatti di passi, passi indefinibili, indelebile, passi che recitano la vita e la morte e la morte e la vita sono sempre dentro lo spazio di un incontro.
I cinque fratelli sono nel vento.
Dalle vigne alle palme.
Uno spazio di tempo che è diventato un tempo di uomini che non ci sono più, ma che hanno segnato le nostre vite.
Loro non sono solo con noi, loro sono noi perché noi siamo loro.
C’è una tenda che sfoglia la sua seta con la brezza del mare e del deserto…
Il vento viene dall’Africa…
Gli sguardi hanno il colore dello spazio di Marylin… e Rodolfo Valentino ha il canto degli amanti…
L’eco di una canzone… Ma gli anni passano e il Verde luna è un passaggio di tramonti o forse di attimi…
Mia madre raccoglie ricordi e mio padre ha distanze che sono sempre vicinanze.
Ma no…
Non pensavo all’aquila quando ho scritto “Come un volo d’aquila”. E l’aquila è anche Albania…
Ora sono passati gli anni.
Zio Gino ha il sorriso innocente.
Zio Pietro fotografa una donna sarda.
Zio mariano cerca i dettagli tra le immagini di una Roma antica.
Zio Adolfo sottolinea un articolo del “Popolo d’Italia”.
Mio padre ascolta ancora “Granada…”.
Ma il tempo è passato e l’Occidente e l’Oriente non sono più un mistero… L’immenso lo portiamo negli occhi.
Nei destini.
Nel sangue.
Nelle storie che sono diventate un’unica memoria.
Non ci fu soltanto il Barocco e il Seicento.
Una storia e un destino che hanno la loro rappresentazione in un Occidente frastagliato da influenze francesi e spagnole. C’è un Mediterraneo diffuso che tocca il mare e il deserto.
Il mare è immenso e l’immenso mare è un viaggio.
Oltre il Barocco, che si estende in generazioni e spazi di una infinita geografia, ci sono le Americhe che hanno toccato il viaggio dei miei destini, che sono dentro generazioni di uomini, di famiglie, di civiltà.
C’è l’Albania… L’Albania di Giulia Gaudinieri e dei Guaglianone…
Io mi porto dentro il destino di generazioni.
Mio padre nel raccontarmi il viaggio di zio Giovannino nelle Americhe mi ha sempre parlato dei Mari del Sud.
I Mari del Sud. Attraverso confini di parole che sono diventati pensieri e i pensieri hanno il fuoco del ricordo…
E sì che non lo sapevo…
Dico meglio.
Quando ho scritto il mio libro dedicato completamente a mio padre “Come un volo d’aquila” non ero a conoscenza che lo stemma di famiglia, della famiglia Gaudinieri, la mamma di mio padre, fosse, appunto un’aquila.
Io non ho mai creduto al caso.
Ma c’è sempre il destino che detta gli orizzonti e il senso.
Non ero a conoscenza dell’aquila che si è fermata a dialogare negli ultimi istanti con mio padre nel momento in cui ha intrapreso il suo viaggio.
Eppure una voce mi ha suggerito che dovevo intitolare quel libro non dimenticando mai il volo dell’aquila.
Un simbolo che, comunque, mi ha accompagnato e mi accompagna nei miei studi sugli sciamani e la magia, ed io sciamano, tra gli archetipi e i tagli dei miti, ho sempre amato la solitudine e la forza dell’aquila.
Neppure mio padre era a conoscenza che lo stemma della sua appartenenza fosse raffigurato da un’aquila. Reale. Già, Reale. E lo stemma è lì, in quel Palazzo Gaudinieri di Acri.
Ma l’aquila ha il volo delle praterie, degli Indiani d’America, dei fiumi che scorrono come acque nei venti degli anni.
Le aquile, sostano sui rami della palma, dialogano con le tartarughe e le tartarughe hanno le loro tredici lune. Ma sono cose che ho già scritto in altre pagine prima di intraprendere questo camminamento.
E se l’Occidente è Francia e America, ci sono gli Orienti che catturano i miei voli di aquila fino a toccare le terre dell’Africa.
Io, che sono un “africanista” e un mediterraneista, so che una piccola parte della famiglia ha vissuto l’Africa.
Quell’Africa dell’Eritrea, di Asmara, delle capanne e dei luoghi magici…
Ci sono Bruni che hanno toccato e vissuto l’Africa e si portano nelle vene il sangue di quell’Africa che si lega al mio mai smarrito Mediterraneo.
C’è il vento caldo.
I cinque fratelli giocano la loro consueta pomeridiana partita a scopone.
Il tavolo è dispari. Cinque. Tre più due. Ovvero tre che sono partiti e hanno lasciato il paese e due che sono rimasti in paese. Ora si sono ritrovati per non slegarsi più tra le generazioni che hanno incrociato continenti.
Un cugino di mio padre, Adolfo, e dei cinque fratelli, è stato in Africa.
Il tempo è stato un attraversamento.
Avrei voluto incontrarlo oggi e farmi spiegare cosa è e cosa è stata quell’Africa. Ha sposato una donna di una magia africana.
La ricordo. Aveva sulla fronte un segno, forse una croce, chiederò meglio, un simbolo e aveva gli occhi profondi come il cuore dell’Africa, di quell’Africa che ha raccontato pezzi di una storia d’Italia.
Ma è vero il tempo ci attraversa.
Uno zio in America. Un cugino in Africa. L’Occidente e l’Oriente.
Siamo fatti di passi, passi indefinibili, indelebile, passi che recitano la vita e la morte e la morte e la vita sono sempre dentro lo spazio di un incontro.
I cinque fratelli sono nel vento.
Dalle vigne alle palme.
Uno spazio di tempo che è diventato un tempo di uomini che non ci sono più, ma che hanno segnato le nostre vite.
Loro non sono solo con noi, loro sono noi perché noi siamo loro.
C’è una tenda che sfoglia la sua seta con la brezza del mare e del deserto…
Il vento viene dall’Africa…
Gli sguardi hanno il colore dello spazio di Marylin… e Rodolfo Valentino ha il canto degli amanti…
L’eco di una canzone… Ma gli anni passano e il Verde luna è un passaggio di tramonti o forse di attimi…
Mia madre raccoglie ricordi e mio padre ha distanze che sono sempre vicinanze.
Ma no…
Non pensavo all’aquila quando ho scritto “Come un volo d’aquila”. E l’aquila è anche Albania…
Ora sono passati gli anni.
Zio Gino ha il sorriso innocente.
Zio Pietro fotografa una donna sarda.
Zio mariano cerca i dettagli tra le immagini di una Roma antica.
Zio Adolfo sottolinea un articolo del “Popolo d’Italia”.
Mio padre ascolta ancora “Granada…”.
Ma il tempo è passato e l’Occidente e l’Oriente non sono più un mistero… L’immenso lo portiamo negli occhi.
Nei destini.
Nel sangue.
Nelle storie che sono diventate un’unica memoria.