C’erano una volta il padre e la madre…
e queste pagine si scrivono per amore… soltanto per amore…
e queste pagine si scrivono per amore… soltanto per amore…
di Pierfranco Bruni
C’erano una volta mio padre e mia madre…
Ci saranno a raccontarmi l’impossibile delle favole
Il padre non è mai un mistero.
Le nostre madri se ne vanno…
Se ne vanno con il silenzio per non disturbarci per non affaticarci per viversi dentro il nostro amore…
Il padre…Non si nasconde come un mistero. Non ci parla con le parole del mistero, non ci guarda con l’attenzione del misterioso. Ma ha sempre un segreto per noi, figli.
È sempre un segreto.
Perché è il custode delle nostre vite. Le nostre vite sono tra le sue mani, nel labirinto delle parole pronunciate con l’attrazione di regalarci sempre un senso e poi liberarci nelle urla delle civiltà e nel silenzio delle nostre anime.
Il padre non smettere di essere costante rivelazione quando prende il volo, tra le nuvole e le nebbie, noi non esistiamo più come figli. Diventiamo padri di noi stessi, dei nostri figli e soprattutto diventiamo i figli dei nostri padri.
E ci consoliamo, noi scrittori, noi poeti, con il raccontare, con lo scrivere pagine di ricordi o di attese, cercando di scavare in quelle memorie che si vivevano soltanto come ricordi.
Il tempo trasforma i ricordi con i nostri padri che continuano a camminare dentro di noi. E ci ripetiamo spesso: C’era una volta… Ma cosa c’era una volta?
C’era un’infanzia che aveva il gusto dell’olio strofinato con i pomodori nei tocchi di pane.
C’era un’infanzia di mare e di terra, di meriggi assolati o di sere nel freddo dei tramonti che giocavano nel nostro sguardo che resta lo specchio dei nostri padri delle nostre madri.
E le nostri madri sono sempre la favola bella che mai ci illude, mai ci delude, mai si assenta…
E anche loro sono andate via con le stagioni che raccolgono il vento degli autunni o delle primavere, degli inverni o delle estati…
Anche loro sono andate via attraversando giovinezze che parlano di un gioco che sembrava infinito.
Ci saranno a raccontarmi l’impossibile delle favole
Il padre non è mai un mistero.
Le nostre madri se ne vanno…
Se ne vanno con il silenzio per non disturbarci per non affaticarci per viversi dentro il nostro amore…
Il padre…Non si nasconde come un mistero. Non ci parla con le parole del mistero, non ci guarda con l’attenzione del misterioso. Ma ha sempre un segreto per noi, figli.
È sempre un segreto.
Perché è il custode delle nostre vite. Le nostre vite sono tra le sue mani, nel labirinto delle parole pronunciate con l’attrazione di regalarci sempre un senso e poi liberarci nelle urla delle civiltà e nel silenzio delle nostre anime.
Il padre non smettere di essere costante rivelazione quando prende il volo, tra le nuvole e le nebbie, noi non esistiamo più come figli. Diventiamo padri di noi stessi, dei nostri figli e soprattutto diventiamo i figli dei nostri padri.
E ci consoliamo, noi scrittori, noi poeti, con il raccontare, con lo scrivere pagine di ricordi o di attese, cercando di scavare in quelle memorie che si vivevano soltanto come ricordi.
Il tempo trasforma i ricordi con i nostri padri che continuano a camminare dentro di noi. E ci ripetiamo spesso: C’era una volta… Ma cosa c’era una volta?
C’era un’infanzia che aveva il gusto dell’olio strofinato con i pomodori nei tocchi di pane.
C’era un’infanzia di mare e di terra, di meriggi assolati o di sere nel freddo dei tramonti che giocavano nel nostro sguardo che resta lo specchio dei nostri padri delle nostre madri.
E le nostri madri sono sempre la favola bella che mai ci illude, mai ci delude, mai si assenta…
E anche loro sono andate via con le stagioni che raccolgono il vento degli autunni o delle primavere, degli inverni o delle estati…
Anche loro sono andate via attraversando giovinezze che parlano di un gioco che sembrava infinito.
Questi padri queste madri non sono soltanto racconto.
Sono una presenza che oltre a restare memoria si fa storia e noi viviamo di queste storie, di queste fedeltà, di questi amori che vivono scavati nel nostro essere e nel nostro esserci.
Loro ci saranno fino a quando noi resisteremo e fino a quando potremo pronunciare quel c’era una volta…
Ora vivono nelle stanze del loro nuovo incontro ma non smettono di dettarci il vissuto…
Questo padre che ha creduto sino all’ultimo respiro al sogno di una civiltà e ad una identità di una Nazione per la quale ha speso la sua giovinezza nel segno dei valori, della coerenza, della bandiera tra le terre che sono state Mediterraneo e tra le terre della coscienza continua a vivere in te.
Questo padre che ha guardato negli occhi profondi i suoi figli e non si è lasciato mai scappare un gesto di timore, di panico sudore e si è aggrappato alla morte come si era aggrappato, giorno dopo giorno, alla vita.
Questo padre che non ha mai smesso il suo linguaggio in una lingua che aveva il coraggio di saper accettare le sconfitte, mai cedendo al pentimento e sempre vivendo nell’orgoglio.
Mai sfidando e sempre restando nell’attesa di un silenzio che ha più parole di una notte appesa sulle trincee.
Non c’è più. Non ci sono più.
E con lui, con loro, madre padre, non c’è più un paese.
Perché loro erano un paese.
Perché loro erano quell’isola abitata nel paese.
È vero che “un paese vuol dire non esser soli” (Pavese). Ma il paese ha il suo abitato. E il nostro abitato, il mio abitato, è racchiuso nel padre, nella madre, nelle vie che a loro portavano, in una casa che, tra le pareti, è trascritto una vita, un tempo, uno spazio, una geografia di cuori che sono diventati frammenti di malinconie.
Si potrà vivere ancora di memorie? E forse siamo qui per scrivere di noi e scrivendo di noi loro continuano ad abitare le nostre parole.
Io sono stato sempre convinto che non sono io che scrivo.
C’è sempre una Voce, un Dio, un Angelo, uno Sciamano che mi detta e i nostri padre le nostre madri ora sono diventate queste voci.
Le voci con noi per loro. Le loro voci per noi.
Custodi del nostro dolore.
Noi custodi della loro assenza. Ma ci sono dentro di noi. Noi dentro la loro presenza che è mancanza, ma è anche attrazione.
Sono presenti più di prima.
Resteranno non ombre, ma vita e passi che noi cammineremo con la loro forza e con la nostra volontà che loro ci hanno testimoniato.
Non si scrive per scrivere.
Queste pagine si scrivono per amore.
Per amore soltanto e per non restare nella solitudine.
C’erano una volta…
Sono una presenza che oltre a restare memoria si fa storia e noi viviamo di queste storie, di queste fedeltà, di questi amori che vivono scavati nel nostro essere e nel nostro esserci.
Loro ci saranno fino a quando noi resisteremo e fino a quando potremo pronunciare quel c’era una volta…
Ora vivono nelle stanze del loro nuovo incontro ma non smettono di dettarci il vissuto…
Questo padre che ha creduto sino all’ultimo respiro al sogno di una civiltà e ad una identità di una Nazione per la quale ha speso la sua giovinezza nel segno dei valori, della coerenza, della bandiera tra le terre che sono state Mediterraneo e tra le terre della coscienza continua a vivere in te.
Questo padre che ha guardato negli occhi profondi i suoi figli e non si è lasciato mai scappare un gesto di timore, di panico sudore e si è aggrappato alla morte come si era aggrappato, giorno dopo giorno, alla vita.
Questo padre che non ha mai smesso il suo linguaggio in una lingua che aveva il coraggio di saper accettare le sconfitte, mai cedendo al pentimento e sempre vivendo nell’orgoglio.
Mai sfidando e sempre restando nell’attesa di un silenzio che ha più parole di una notte appesa sulle trincee.
Non c’è più. Non ci sono più.
E con lui, con loro, madre padre, non c’è più un paese.
Perché loro erano un paese.
Perché loro erano quell’isola abitata nel paese.
È vero che “un paese vuol dire non esser soli” (Pavese). Ma il paese ha il suo abitato. E il nostro abitato, il mio abitato, è racchiuso nel padre, nella madre, nelle vie che a loro portavano, in una casa che, tra le pareti, è trascritto una vita, un tempo, uno spazio, una geografia di cuori che sono diventati frammenti di malinconie.
Si potrà vivere ancora di memorie? E forse siamo qui per scrivere di noi e scrivendo di noi loro continuano ad abitare le nostre parole.
Io sono stato sempre convinto che non sono io che scrivo.
C’è sempre una Voce, un Dio, un Angelo, uno Sciamano che mi detta e i nostri padre le nostre madri ora sono diventate queste voci.
Le voci con noi per loro. Le loro voci per noi.
Custodi del nostro dolore.
Noi custodi della loro assenza. Ma ci sono dentro di noi. Noi dentro la loro presenza che è mancanza, ma è anche attrazione.
Sono presenti più di prima.
Resteranno non ombre, ma vita e passi che noi cammineremo con la loro forza e con la nostra volontà che loro ci hanno testimoniato.
Non si scrive per scrivere.
Queste pagine si scrivono per amore.
Per amore soltanto e per non restare nella solitudine.
C’erano una volta…