Forse vennero da lontano quando la notte toccò l’alba di Pierfranco Bruni Caddero tre coralli. Uno nero. Uno rosa. Uno celeste. Quello nero si era annodato tra i capelli di Sarashil. Quello rosa tra le dita del narratore. Quello celeste sul petto di Garcia. Forse c’erano una volta Sarashil e Garcia e avevano sul viso la bellezza dei tre coralli. |
Ci fu il vento quella notte.
Le sette porte si aprirono al battito della luna che raccolse le onde sbattute sulla battigia. Ma non fu una luna soltanto.
Caddero, quella notte, da tre stelle, tre coralli. E le lune, nel riflesso degli occhi di Sarashil, furono tredici.
Tredici lune e ogni luna aveva una sua storia che mai raccontò e che consegnò ai tredici porti nei quali era approdato Garcia.
Il loro destino si portava la cifra della memoria.
In ogni luna la memoria diventò ricordo e l’anima navigava tra le parole e le immagini.
Caddero tre coralli. Uno nero. Uno rosa. Uno celeste.
Quello nero si era annodato tra i capelli di Sarashil.
Quello rosa tra le dita del narratore.
Quello celeste sul petto di Garcia.
Le storie non possono più andare avanti così… ora che si è scoperto il mistero di Sarashil. Ma non potrò rivelarlo fino a quando non verrà alla luce anche quello di Garcia.
Vennero da lontano. Forse. La notte toccò l’alba.
Lei dalla Persia.
Lui dall’Andalusia.
Non smettono di amarsi anche se hanno la consapevolezza che l’amore ha sempre bisogno di rubare gli attimi di una vita.
Non smettono di incontrarsi anche se sanno che un attimo, a volte, è più di una vita. Ma Sarashil resta sempre una danzatrice. Quella danzatrice venuta da Ararat e porta nello sguardo le tempeste e il sangue, la passione e la nostalgia.
Garcia resta sempre uno zingaro che custodisce le parole alle cinque della sera, come un torero stanco che convive però con le arene.
Le sette porte si aprirono al battito della luna che raccolse le onde sbattute sulla battigia. Ma non fu una luna soltanto.
Caddero, quella notte, da tre stelle, tre coralli. E le lune, nel riflesso degli occhi di Sarashil, furono tredici.
Tredici lune e ogni luna aveva una sua storia che mai raccontò e che consegnò ai tredici porti nei quali era approdato Garcia.
Il loro destino si portava la cifra della memoria.
In ogni luna la memoria diventò ricordo e l’anima navigava tra le parole e le immagini.
Caddero tre coralli. Uno nero. Uno rosa. Uno celeste.
Quello nero si era annodato tra i capelli di Sarashil.
Quello rosa tra le dita del narratore.
Quello celeste sul petto di Garcia.
Le storie non possono più andare avanti così… ora che si è scoperto il mistero di Sarashil. Ma non potrò rivelarlo fino a quando non verrà alla luce anche quello di Garcia.
Vennero da lontano. Forse. La notte toccò l’alba.
Lei dalla Persia.
Lui dall’Andalusia.
Non smettono di amarsi anche se hanno la consapevolezza che l’amore ha sempre bisogno di rubare gli attimi di una vita.
Non smettono di incontrarsi anche se sanno che un attimo, a volte, è più di una vita. Ma Sarashil resta sempre una danzatrice. Quella danzatrice venuta da Ararat e porta nello sguardo le tempeste e il sangue, la passione e la nostalgia.
Garcia resta sempre uno zingaro che custodisce le parole alle cinque della sera, come un torero stanco che convive però con le arene.
E così si potrà dire ancora che forse c’era una volta un incontro che visse la favola
e poi la favola è diventata fantasia
e la fantasia non ha accettato la finzione
e la finzione ha cercato la maschera
e la maschera non ha avuto il coraggio di specchiarsi
e lo specchio si è frantumato nel momento in cui la favola si è intrecciata con la realtà
e la realtà si è persa nella leggenda
e la leggenda si è confusa tra le parole che non smettono di essere soltanto parole.
Sarashil: “Io ti avrò non come realtà, perché averti come realtà non è possederti nel sempre. Ti avrò come sogno, perché il sogno resisterà ad ogni recita e sarai dentro il mio sogno come vita”.
Garcia: “Fai in modo che io resista alla realtà e che la realtà non rubi la fantasia. Soltanto la fantasia potrà fare in modo di non prendere il sopravvento sul dimenticare”.
Sarashil: “Non si dimentica nulla perché noi camminiamo nella tradizione. Siamo Occidente ed Oriente. Parliamo le parole di oggi senza perdere il senso che è stato di un orizzonte di alchimie”.
Garcia: “Mi parli di alchimia? Tutte le carte che ho letto mi hanno indirizzato sulle strade del tuo seno. Porti la Persia e l’Armenia in te e la danza è la bellezza che canti sul mio corpo”.
Ancora una volta si parlarono. E forse fu l’ultima volta.
Si potrà raccontare, un giorno, che Sarashil e Garcia si salutarono con le parole che abbiamo ascoltato e poi ritornò il vento e tutto si portò nel gioco delle stagioni.
E qui si chiudono le sette porte e tutte e sette sono bellezza.
Le tredici lune sorgeranno non più con i bagliori serali, ma con l’alba e indicheranno l’uscita dal castello attraverso le sette porte nelle sette stanze.
E così i tre coralli caddero e furono raccolti.
Poi giunse anche la pioggia e dopo la notte, con il vento, l’alba toccò i suoi cammini e i cammini incontrarono il dio del Sole.
Forse c’erano una volta Sarashil e Garcia e avevano sul viso la bellezza dei tre coralli.
e poi la favola è diventata fantasia
e la fantasia non ha accettato la finzione
e la finzione ha cercato la maschera
e la maschera non ha avuto il coraggio di specchiarsi
e lo specchio si è frantumato nel momento in cui la favola si è intrecciata con la realtà
e la realtà si è persa nella leggenda
e la leggenda si è confusa tra le parole che non smettono di essere soltanto parole.
Sarashil: “Io ti avrò non come realtà, perché averti come realtà non è possederti nel sempre. Ti avrò come sogno, perché il sogno resisterà ad ogni recita e sarai dentro il mio sogno come vita”.
Garcia: “Fai in modo che io resista alla realtà e che la realtà non rubi la fantasia. Soltanto la fantasia potrà fare in modo di non prendere il sopravvento sul dimenticare”.
Sarashil: “Non si dimentica nulla perché noi camminiamo nella tradizione. Siamo Occidente ed Oriente. Parliamo le parole di oggi senza perdere il senso che è stato di un orizzonte di alchimie”.
Garcia: “Mi parli di alchimia? Tutte le carte che ho letto mi hanno indirizzato sulle strade del tuo seno. Porti la Persia e l’Armenia in te e la danza è la bellezza che canti sul mio corpo”.
Ancora una volta si parlarono. E forse fu l’ultima volta.
Si potrà raccontare, un giorno, che Sarashil e Garcia si salutarono con le parole che abbiamo ascoltato e poi ritornò il vento e tutto si portò nel gioco delle stagioni.
E qui si chiudono le sette porte e tutte e sette sono bellezza.
Le tredici lune sorgeranno non più con i bagliori serali, ma con l’alba e indicheranno l’uscita dal castello attraverso le sette porte nelle sette stanze.
E così i tre coralli caddero e furono raccolti.
Poi giunse anche la pioggia e dopo la notte, con il vento, l’alba toccò i suoi cammini e i cammini incontrarono il dio del Sole.
Forse c’erano una volta Sarashil e Garcia e avevano sul viso la bellezza dei tre coralli.