Il Polo museale come “agenzia” aggregante tra culture ed economia per un nuovo progetto di sviluppo dei territori
di Pierfranco Bruni
La potenzialità di essere Polo museale e di diventare struttura aggregante, in una visione culturale ampia e articolata di un territorio vasto, significa dare anche un senso allo sviluppo di quei processi che legano le risorse e le vocazioni di una geopolitica locale ad una geopolitica internazionale.
I Poli museali sono i presupposti e le matrici coordinanti di eventi che devono caratterizzare e trasformare l’economia culturale in assetti territoriali. Non riguarda soltanto l’esistenza di un museo e il depositato di un museo o l’allestimento, nel passaggio dalla tradizione alle forme post contemporanee. Un Polo deve, sostanzialmente, sottolineare una energia per le “sinergie” con i vari comparti delle culture.
In questo processo sono convinto, lo sono sempre stato, che la dialettica su una metodologia pedagogica debba significare una lettura armonica del territorio guardando con molta attenzione alle economie sommerse, al terziario culturale, alla vocazione e alla specificità delle istituzioni scolastiche. Una vera e propria metodologia didattica che rappresenti un filo conduttore per lo sviluppo, ripeto, di un territorio.
In fondo le tre coordinate, scientifica, economica, pedagogica, alle quali spesso ho fatto riferimento devono costituirsi come centralità. Educare alla economia dello sviluppo culturale per un versante. Adottare una metodologia formativa alla filosofia del bene culturale dall’altro versante. Mi pare che sia il percorso iniziale per identificare le nuove forme di confronto tra il bene culturale e le città, tra il patrimonio storico – archeologico e le università, tra la funzione della cultura e l’esperienza didattica nel mondo delle istituzioni scolastiche dei tre gradi.
Alcuni decenni fa si parlava di bene culturale come educazione permanente (cfr. “Bene cultural. Identità e Risorsa”, Iral, si tratta di un mio testo del 2005 e 2007) nella formazione delle generazioni. Oggi credo che possa essere integrato questo importante concetto con la visione del bene culturale per una conoscenza tra economia, sviluppo e apprendimento.
Sono delle direttrici con le quali costantemente confrontarsi. La Riforma Franceschini indicando la priorità dei Poli museali ha voluto puntare l’attenzione proprio su queste linee che considero fondamentali perché non si può dare (o fare) culturale senza riuscire a guardare la valorizzazione e con essa la fruizione. Temi legati al turismo e quindi strettamente connessi ad una cultura del bene culturale come conoscenza e sviluppo. Ed è qui lo status reale ed ideale di come vivere il patrimonio culturale di un territorio.
Una cultura che esca dal “Palazzo”, che riesca a realizzare il diffuso recuperando il sommerso. Un’idea importante per una società, antropologicamente variante e letta con la caratura di un diverso approccio sociologico, in costante transizione. Il Polo museale bisogna pensarlo come una agenzia diffusa delle culture con la capacità di interiorizzare la storia e l’umanità di un popolo, la ricerca e la progettualità del tempo nel quale viviamo.
di Pierfranco Bruni
La potenzialità di essere Polo museale e di diventare struttura aggregante, in una visione culturale ampia e articolata di un territorio vasto, significa dare anche un senso allo sviluppo di quei processi che legano le risorse e le vocazioni di una geopolitica locale ad una geopolitica internazionale.
I Poli museali sono i presupposti e le matrici coordinanti di eventi che devono caratterizzare e trasformare l’economia culturale in assetti territoriali. Non riguarda soltanto l’esistenza di un museo e il depositato di un museo o l’allestimento, nel passaggio dalla tradizione alle forme post contemporanee. Un Polo deve, sostanzialmente, sottolineare una energia per le “sinergie” con i vari comparti delle culture.
In questo processo sono convinto, lo sono sempre stato, che la dialettica su una metodologia pedagogica debba significare una lettura armonica del territorio guardando con molta attenzione alle economie sommerse, al terziario culturale, alla vocazione e alla specificità delle istituzioni scolastiche. Una vera e propria metodologia didattica che rappresenti un filo conduttore per lo sviluppo, ripeto, di un territorio.
In fondo le tre coordinate, scientifica, economica, pedagogica, alle quali spesso ho fatto riferimento devono costituirsi come centralità. Educare alla economia dello sviluppo culturale per un versante. Adottare una metodologia formativa alla filosofia del bene culturale dall’altro versante. Mi pare che sia il percorso iniziale per identificare le nuove forme di confronto tra il bene culturale e le città, tra il patrimonio storico – archeologico e le università, tra la funzione della cultura e l’esperienza didattica nel mondo delle istituzioni scolastiche dei tre gradi.
Alcuni decenni fa si parlava di bene culturale come educazione permanente (cfr. “Bene cultural. Identità e Risorsa”, Iral, si tratta di un mio testo del 2005 e 2007) nella formazione delle generazioni. Oggi credo che possa essere integrato questo importante concetto con la visione del bene culturale per una conoscenza tra economia, sviluppo e apprendimento.
Sono delle direttrici con le quali costantemente confrontarsi. La Riforma Franceschini indicando la priorità dei Poli museali ha voluto puntare l’attenzione proprio su queste linee che considero fondamentali perché non si può dare (o fare) culturale senza riuscire a guardare la valorizzazione e con essa la fruizione. Temi legati al turismo e quindi strettamente connessi ad una cultura del bene culturale come conoscenza e sviluppo. Ed è qui lo status reale ed ideale di come vivere il patrimonio culturale di un territorio.
Una cultura che esca dal “Palazzo”, che riesca a realizzare il diffuso recuperando il sommerso. Un’idea importante per una società, antropologicamente variante e letta con la caratura di un diverso approccio sociologico, in costante transizione. Il Polo museale bisogna pensarlo come una agenzia diffusa delle culture con la capacità di interiorizzare la storia e l’umanità di un popolo, la ricerca e la progettualità del tempo nel quale viviamo.