Il raccontare continua. Si fa mistero. Si fa errante. In questa pagina la griglia del raccontare stesso si esprime come ricerca. Abbiamo bisogno di cercare o di ricercare e le parole a volte non bastano. Abbiamo bisogno di altro. Forse di catturare nella parole il silenzio. Ed è così in “Io resto errante per pazienza”.
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Io resto errante per pazienza
di Pierfranco Bruni
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Io resto errante per pazienza
di Pierfranco Bruni
Volto la pagina. Ogni ricordo è spezzettato. Cammino tra le parole che avrei voluto dire o soltanto accennare.
Ormai un'epoca è finita.
Quando si ha la consapevolezza che il tempo si misura tra la partenza e i ritorni, i giorni scivolano come su lastre di ghiaccio.
Perché mi considero un errante?
Forse lo sono. Lo sono sempre stato. Ma dopo la sepoltura dei porti tutto si è consumato e anche gli sguardi che sembravano intramontabili sono tramontato senza crepuscolo e senza osservare le linee degli orizzonti.
Volto pagina.
Ma quale pagina?
Quando ti vedi morire il padre e la madre e si manca a tutti gli appuntamenti della loro fine sei uno sconfitto per volontà e per rivolta.
Non ho visto morire mio padre.
Non ho visto morire mia madre.
Da qui inizia la vera agonia dell'errare. Ovvero di andare oltre nello spazio che non ti concede altri incontri e la solitudine diventa visibile negli occhi nel silenzio nella parola.
Occorre vivere il tempo dell'abisso per andare oltre l'assurdo.
La morte è sempre un assurdo perché la consolazione resta soltanto una illusione.
Mio padre:
"Resta sempre con i piedi per terra. Tu che vivi il mare hai sempre bisogno della sicurezza e non della provvisorietà e tanto meno puoi trovare conforto nelle illusioni. Le illusioni fanno rima con le delusioni… Abbiamo bisogno di cercare o di ricercare e le parole a volte non bastano. Abbiamo bisogno di altro. Forse di catturare nella parole il silenzio”.
Gli uomini erranti non conoscono il presente. Sono raccoglitori di passato. Sono profeti che vanno oltre il deserto perché sanno vivere l'attesa e diventano cercatori di pazienza.
La mia infanzia è finita secoli fa.
La giovinezza è un garofano piegato e l'età ha bisogno di una crema per coprire le rughe.
Mia madre:
"Però non dimostro l'età che ho. Che ne pensi? ".
Mi chiedeva spesso.
Non aveva mai pensato alla morte seriamente.
Negli ultimi anni, dopo la morte di mio padre, chiese spesso, però, di morire.
Non so se per amore verso il compagno di una vita o perché si era stancata. Ma aveva sempre quel riso, quando sorrideva, quasi sarcastico e di rimprovero.
Era stata una madre austera elegante dignitosa e una donna bella con un suo portamento tutto Mediterraneo.
Non accettava le rughe. Non accettava di essere diventata "vecchia" troppo in fretta.
Ora osservo una sua foto che portò sempre con me.
Ricordare serve?
Tutto ha sempre un senso nella vita che pensiamo di vivere senza mai raccogliere la consapevolezza che è la vita che ci attraversa.
Con la memoria nei ricordi non si può essere guerrieri erranti.
Il guerriero errante conosce le isole dell'anima sa dialogare con la luna nelle notti scure sa vivere il mare tra le dune e le pianure delle onde sa ascoltare il Monaco del deserto e sa cantare le parole del popolo Navajo.
L'errante è anche uni sciamano che colloquia con il vento. I
l suo amico vento!
Lo sciamano errante dice :
"Non cercarmi mai nella morte. Cercami nelle foglie nella sabbia nel destino nel silenzio nel sole. Non cercarmi mai nella non vita... ".
Il vento risponde:
"Tu sarai sempre presente perché la tua anima vagante non ha distanze e quindi non ha misure per poter contare quanti silenzi hai vissuto proprio nel momento in cui la parola prendeva il sopravvento".
L’errante ha incontrato, lungo il suo cammino, un monaco che custodiva, nel suo abito, tutte le pieghe di una esistenza strappata.
Il monaco:
“Ci vuole sempre pazienza per poter capire e la pazienza è la vera grammatica di quel vocabolario che è il segreto della rosa di Gerico”.
Passano gli anni.
Mio padre mi sussurra nel mio immaginario:
“Sempre passeranno e tu non tentare mai di fermarli…gli anni…”.
Resto davanti alle pagine voltate, girate.
Non leggo ancora le lettere di mia madre e di mio padre.
Sono depositate in una cartella. Ma lì c’è tutto il mistero che mi permetterà di compiere il mio vero e significativo viaggio.
Non ci riuscirò?
Tutto mi porta a quella notte di dicembre.
Tutto mi riporta a quella notte di ottobre.
Io errante tra le parole resto in silenzio per camminare oltre le parole stesse. Le lettere sono un sigillo ed io nel mio vivere errante ho bisogno ancora che quel mistero resti mistero anche se ho bisogno di conoscenza.
So che il mistero è indelebile e a lui mi affido tra le onde del mare e la luna di notte… Io resto errante per pazienza…
Ormai un'epoca è finita.
Quando si ha la consapevolezza che il tempo si misura tra la partenza e i ritorni, i giorni scivolano come su lastre di ghiaccio.
Perché mi considero un errante?
Forse lo sono. Lo sono sempre stato. Ma dopo la sepoltura dei porti tutto si è consumato e anche gli sguardi che sembravano intramontabili sono tramontato senza crepuscolo e senza osservare le linee degli orizzonti.
Volto pagina.
Ma quale pagina?
Quando ti vedi morire il padre e la madre e si manca a tutti gli appuntamenti della loro fine sei uno sconfitto per volontà e per rivolta.
Non ho visto morire mio padre.
Non ho visto morire mia madre.
Da qui inizia la vera agonia dell'errare. Ovvero di andare oltre nello spazio che non ti concede altri incontri e la solitudine diventa visibile negli occhi nel silenzio nella parola.
Occorre vivere il tempo dell'abisso per andare oltre l'assurdo.
La morte è sempre un assurdo perché la consolazione resta soltanto una illusione.
Mio padre:
"Resta sempre con i piedi per terra. Tu che vivi il mare hai sempre bisogno della sicurezza e non della provvisorietà e tanto meno puoi trovare conforto nelle illusioni. Le illusioni fanno rima con le delusioni… Abbiamo bisogno di cercare o di ricercare e le parole a volte non bastano. Abbiamo bisogno di altro. Forse di catturare nella parole il silenzio”.
Gli uomini erranti non conoscono il presente. Sono raccoglitori di passato. Sono profeti che vanno oltre il deserto perché sanno vivere l'attesa e diventano cercatori di pazienza.
La mia infanzia è finita secoli fa.
La giovinezza è un garofano piegato e l'età ha bisogno di una crema per coprire le rughe.
Mia madre:
"Però non dimostro l'età che ho. Che ne pensi? ".
Mi chiedeva spesso.
Non aveva mai pensato alla morte seriamente.
Negli ultimi anni, dopo la morte di mio padre, chiese spesso, però, di morire.
Non so se per amore verso il compagno di una vita o perché si era stancata. Ma aveva sempre quel riso, quando sorrideva, quasi sarcastico e di rimprovero.
Era stata una madre austera elegante dignitosa e una donna bella con un suo portamento tutto Mediterraneo.
Non accettava le rughe. Non accettava di essere diventata "vecchia" troppo in fretta.
Ora osservo una sua foto che portò sempre con me.
Ricordare serve?
Tutto ha sempre un senso nella vita che pensiamo di vivere senza mai raccogliere la consapevolezza che è la vita che ci attraversa.
Con la memoria nei ricordi non si può essere guerrieri erranti.
Il guerriero errante conosce le isole dell'anima sa dialogare con la luna nelle notti scure sa vivere il mare tra le dune e le pianure delle onde sa ascoltare il Monaco del deserto e sa cantare le parole del popolo Navajo.
L'errante è anche uni sciamano che colloquia con il vento. I
l suo amico vento!
Lo sciamano errante dice :
"Non cercarmi mai nella morte. Cercami nelle foglie nella sabbia nel destino nel silenzio nel sole. Non cercarmi mai nella non vita... ".
Il vento risponde:
"Tu sarai sempre presente perché la tua anima vagante non ha distanze e quindi non ha misure per poter contare quanti silenzi hai vissuto proprio nel momento in cui la parola prendeva il sopravvento".
L’errante ha incontrato, lungo il suo cammino, un monaco che custodiva, nel suo abito, tutte le pieghe di una esistenza strappata.
Il monaco:
“Ci vuole sempre pazienza per poter capire e la pazienza è la vera grammatica di quel vocabolario che è il segreto della rosa di Gerico”.
Passano gli anni.
Mio padre mi sussurra nel mio immaginario:
“Sempre passeranno e tu non tentare mai di fermarli…gli anni…”.
Resto davanti alle pagine voltate, girate.
Non leggo ancora le lettere di mia madre e di mio padre.
Sono depositate in una cartella. Ma lì c’è tutto il mistero che mi permetterà di compiere il mio vero e significativo viaggio.
Non ci riuscirò?
Tutto mi porta a quella notte di dicembre.
Tutto mi riporta a quella notte di ottobre.
Io errante tra le parole resto in silenzio per camminare oltre le parole stesse. Le lettere sono un sigillo ed io nel mio vivere errante ho bisogno ancora che quel mistero resti mistero anche se ho bisogno di conoscenza.
So che il mistero è indelebile e a lui mi affido tra le onde del mare e la luna di notte… Io resto errante per pazienza…