L “Orlando” di Ariosto in un amoreggiare tra le donne e i cavalieri, le armi e gli amori di Teodoro Fiordiluna
di Pierfranco Bruni
di Pierfranco Bruni
Un’epoca che ha visto primeggiare l’estetica. Nelle parole. Nelle forme. Nel raccordare i significati con i significanti. Un viaggio nel linguaggio in una dimensione in cui i processi culturali diventano dimensioni esistenziali. Tra il Rinascimento e il Barocco si sviluppa un “fare” poesia che è contornato da un modello in cui la leggenda, il raccontare tra “le donne, i cavallier, l’arme, gli amori…” prende un deciso soppravvento.
Una tradizione che trova negli incisi medioevali una dimensione onirica e di gesta che è abbastanza rilevante, e che attraversa, inevitabilmente, la stagione dell’Umanesimo per farsi voce, proprio nei processi poetici affabulistici rinascimentali e seicenteschi.
Le presenze dei rimandi mediterranei sono tasselli simbolici forti e si intagliano in un incontro tra cultura d’Oriente e modelli occidentali di scavo latino. Meglio sarebbe dire un incontro che è “scontro” di culture e di civiltà tra il mondo cristiano e gli infedeli, qui per infedeli si legge musulmani.
Si pensi a Ludovico Ariosto e alla trama e interpretazione del suo “Orlando furioso”, la cui prima edizione risale al 1516 composta da quaranta canti (verranno pubblicati postumi altri “Cinque canti”).
Oltre ad Ariosto, sulla linea che sto tracciando, insistono chiaramente sia l “Orlando innamorato” che la “Gerusalemme liberata”, il cui centro scenico è sempre la corte degli Estensi.
Ma il dato letterario e culturale più ampio è la visione delle sfaccettature di due mondi quali sono quello Cristiano e quello Musulmano, ben definiti come Occidente ed Oriente. Definizione che nel corso dei secoli non può più ritenersi così rigida. Comunque, costituiscono, questi tre poemi, una vera e propria scuola di pensiero, oltre ad una scuola poetica e letteraria.
Una scuola che troverà nel Cervantes un punto di riferimento che è una appartenenza onirica certamente, ma è anche una eredità, in cui poesia e follia sono collegamento estremo che giungerà ad una forma di teatralizzazione, la cui sintesi verrà incarnata da Luigi Pirandello.
Infatti è Pirandello, il Pirandello mediterraneo e siciliano di Girgenti, che porterà sulla scena le due culture, grazie agli archetipi della recita e dei pupi che diventeranno personaggi tra linguaggio e carattere.
Una tradizione che trova negli incisi medioevali una dimensione onirica e di gesta che è abbastanza rilevante, e che attraversa, inevitabilmente, la stagione dell’Umanesimo per farsi voce, proprio nei processi poetici affabulistici rinascimentali e seicenteschi.
Le presenze dei rimandi mediterranei sono tasselli simbolici forti e si intagliano in un incontro tra cultura d’Oriente e modelli occidentali di scavo latino. Meglio sarebbe dire un incontro che è “scontro” di culture e di civiltà tra il mondo cristiano e gli infedeli, qui per infedeli si legge musulmani.
Si pensi a Ludovico Ariosto e alla trama e interpretazione del suo “Orlando furioso”, la cui prima edizione risale al 1516 composta da quaranta canti (verranno pubblicati postumi altri “Cinque canti”).
Oltre ad Ariosto, sulla linea che sto tracciando, insistono chiaramente sia l “Orlando innamorato” che la “Gerusalemme liberata”, il cui centro scenico è sempre la corte degli Estensi.
Ma il dato letterario e culturale più ampio è la visione delle sfaccettature di due mondi quali sono quello Cristiano e quello Musulmano, ben definiti come Occidente ed Oriente. Definizione che nel corso dei secoli non può più ritenersi così rigida. Comunque, costituiscono, questi tre poemi, una vera e propria scuola di pensiero, oltre ad una scuola poetica e letteraria.
Una scuola che troverà nel Cervantes un punto di riferimento che è una appartenenza onirica certamente, ma è anche una eredità, in cui poesia e follia sono collegamento estremo che giungerà ad una forma di teatralizzazione, la cui sintesi verrà incarnata da Luigi Pirandello.
Infatti è Pirandello, il Pirandello mediterraneo e siciliano di Girgenti, che porterà sulla scena le due culture, grazie agli archetipi della recita e dei pupi che diventeranno personaggi tra linguaggio e carattere.
A questo vissuto, che parte proprio dal Rinascimento e si definisce nel Barocco per inglobarsi nella contemporaneità pirandelliana, appartiene un poeta, completamente sconosciuto, che risponde al nome di Teodoro Fiordiluna, di cui si sa nulla.
Un poeta nato nel napoletano, ma vissuto probabilmente non a Napoli, appartenente al XVII secolo, come ho riscontrato da alcune ricerche. Si trovano tracce della sua presenza nella Calabria del Nord.
Ci sono alcuni versi che fanno esplicito “specchio” alla poesia di Ludovico Ariosto e sembrano, i versi, condensare il tutto del raccontar leggenda dell’Orlando.
Si legge in una sua poesia dal titolo: “Amoreggiar e armeggiar” un viaggiare che ci conduce immediatamente all’Orlando. Amoreggiare confrontandosi sempre con il tempo che si dilata nell’onirico percorso della vacanza di tempo e di spazio.
Così:
“Ad amoreggiar non fu lungo il tempo
se le parole tue abbiano in me lasciato lo scorticar del dolore
sul viaggiar delle miserie umane che a nobilitate sorte non fu.
Angelica non dea ma novella amante di Medoro
che mai fuggì
e speranza volle a disdegnar Orlando
che furioso d'amor folle
giunse a respirar lune e ciel.
Temporal di mare e cristiani
e saraceni
di sangue dipinsero acque
mai chete
nella leggenda
che non fu d'Oriente
magia non assopita.
Orlando combatter di pugna
in terra sacra non poté
per vincitor che non fu d'amor perso
e luce Angelica portò
sino a fuggir
con l'amante suo
sul sogno che si avverò.
Amoreggiar e armeggiar
ma di cuore e di bocca
Angelica e Medoro
si unirono”.
In effetti questi versi ripropongono il canto già conosciuto del tardo periodo rinascimentale. Ciò che incuriosisce, e pone degli interrogativi letterari, è la perfezione del verso, lo stile e anche l’eleganza che assume una peculiare importanza e fa comprendere come Teodoro Fiordiluna conoscesse molto bene non solo Ariosto, ma tutta la temperie contestualizza nella poetica “cavalleresca” e in modo particolare il barocco andaluso.
È chiaro che si tratta di una realtà poetica straordinaria e significativa sia sul piano semantico che su quello strettamente estetico – metaforico. Un percorso da riconsiderare su tre prospettive:
1. Letterario.
2. Storico.
3. Religioso.
Infatti, Ariosto pone la sua opera intorno a questo triangolo che è rappresentato da una lingua che esce dalla “zona” medievaleggiante, da una traducibilità che va dalla letteratura ai fatti politici, da una inequivocabile rapporto tra teologia e filosofia.
Gli amori sono intrecci che abitano un tale ambiente.
Teodoro Fiordiluna va subito al nodo della questione. Amoreggiare e armeggiare. Due concetti che sono l’anima sia di Ariosto, sia di Matteo Maria Boiardo sia di Tasso ma anche di Cervantes.
In Fiordiluna proprio l’incipit dell’Orlando è il segno implacabile di una familiarità con quel verseggiare. Infatti egli canta ciò che Ariosto scrisse: “l’audaci imprese io canto…”. Di questo poeta non conosciuto ho recuperato i suoi versi. Pare che non abbia scritto altro.
Sono 14 poesie di quattro versi ciascuna e una poesia di 20 versi divisa in quartine. Un metodo ben preciso che Teodoro Fiordiluna ha ben studiato. Non so se abbia scritto altro. Non credo. Ma gli unici versi in mio possesso sono questi che portano il titolo: “Audaci imprese non so cantar”.
Un poeta nato nel napoletano, ma vissuto probabilmente non a Napoli, appartenente al XVII secolo, come ho riscontrato da alcune ricerche. Si trovano tracce della sua presenza nella Calabria del Nord.
Ci sono alcuni versi che fanno esplicito “specchio” alla poesia di Ludovico Ariosto e sembrano, i versi, condensare il tutto del raccontar leggenda dell’Orlando.
Si legge in una sua poesia dal titolo: “Amoreggiar e armeggiar” un viaggiare che ci conduce immediatamente all’Orlando. Amoreggiare confrontandosi sempre con il tempo che si dilata nell’onirico percorso della vacanza di tempo e di spazio.
Così:
“Ad amoreggiar non fu lungo il tempo
se le parole tue abbiano in me lasciato lo scorticar del dolore
sul viaggiar delle miserie umane che a nobilitate sorte non fu.
Angelica non dea ma novella amante di Medoro
che mai fuggì
e speranza volle a disdegnar Orlando
che furioso d'amor folle
giunse a respirar lune e ciel.
Temporal di mare e cristiani
e saraceni
di sangue dipinsero acque
mai chete
nella leggenda
che non fu d'Oriente
magia non assopita.
Orlando combatter di pugna
in terra sacra non poté
per vincitor che non fu d'amor perso
e luce Angelica portò
sino a fuggir
con l'amante suo
sul sogno che si avverò.
Amoreggiar e armeggiar
ma di cuore e di bocca
Angelica e Medoro
si unirono”.
In effetti questi versi ripropongono il canto già conosciuto del tardo periodo rinascimentale. Ciò che incuriosisce, e pone degli interrogativi letterari, è la perfezione del verso, lo stile e anche l’eleganza che assume una peculiare importanza e fa comprendere come Teodoro Fiordiluna conoscesse molto bene non solo Ariosto, ma tutta la temperie contestualizza nella poetica “cavalleresca” e in modo particolare il barocco andaluso.
È chiaro che si tratta di una realtà poetica straordinaria e significativa sia sul piano semantico che su quello strettamente estetico – metaforico. Un percorso da riconsiderare su tre prospettive:
1. Letterario.
2. Storico.
3. Religioso.
Infatti, Ariosto pone la sua opera intorno a questo triangolo che è rappresentato da una lingua che esce dalla “zona” medievaleggiante, da una traducibilità che va dalla letteratura ai fatti politici, da una inequivocabile rapporto tra teologia e filosofia.
Gli amori sono intrecci che abitano un tale ambiente.
Teodoro Fiordiluna va subito al nodo della questione. Amoreggiare e armeggiare. Due concetti che sono l’anima sia di Ariosto, sia di Matteo Maria Boiardo sia di Tasso ma anche di Cervantes.
In Fiordiluna proprio l’incipit dell’Orlando è il segno implacabile di una familiarità con quel verseggiare. Infatti egli canta ciò che Ariosto scrisse: “l’audaci imprese io canto…”. Di questo poeta non conosciuto ho recuperato i suoi versi. Pare che non abbia scritto altro.
Sono 14 poesie di quattro versi ciascuna e una poesia di 20 versi divisa in quartine. Un metodo ben preciso che Teodoro Fiordiluna ha ben studiato. Non so se abbia scritto altro. Non credo. Ma gli unici versi in mio possesso sono questi che portano il titolo: “Audaci imprese non so cantar”.