La nobiltà non si
inventa e non scorre tra le acque
incolte, vive nei cuori che hanno il
volo dell’aquila e la grandezza della pazienza…
Le tartarughe dormono lungo le rive del fiume. Così ha voluto il dio del Sole. Quel fiume che tanto è stato amato da una poetessa che ha raccontato un amore impossibile. Isabella Morra. Si sono attese per partire insieme. Perché c’è sempre un mistero che diventa magia e la magia è alchimia. Oltre le convenzioni. Oltre le teologie del conforto.
Le tartarughe dormono lungo le rive del fiume. Così ha voluto il dio del Sole. Quel fiume che tanto è stato amato da una poetessa che ha raccontato un amore impossibile. Isabella Morra. Si sono attese per partire insieme. Perché c’è sempre un mistero che diventa magia e la magia è alchimia. Oltre le convenzioni. Oltre le teologie del conforto.
Io, Virgilio, Micol e mio padre non abbiamo mai creduto alle teologie del conforto.
Ci sono sempre strade che sembrano non percorribile poi basta un segno della luna e le ombre diventano orizzonti di luce. Non è sperare.
È il mistero che avvolgeva Ulisse nel suo sfidare i destini o Enea che non aveva mai previsto la tragedia di Didone. Ma qual è la differenza tra Ulisse ed Enea?
Le tartarughe non erano nate dalla stessa “covata”.
Due erano state accudite completamente da mio padre prima di arrivare tra altre terre. Le aveva curate con la disciplina del soldato che conosceva gli sguardi delle sentinelle lungo i fuochi delle trincee.
Enea diventa la fantasia dell’Occidente dopo essere stato il tragico e l’ironico di Troia.
Ulisse non smette, ancora oggi, di portarsi addosso, e nell’anima, la malinconia dell’inquieto navigante che ha tracciato, nei mari dei viaggi, le nostalgie e il gioco.
Una tartaruga poteva somigliare ad Enea e l’altra ad Ulisse. Fantasia, storia o finzione?
La terza, arrivata dopo, raccoglieva i giorni del ricordo e del racconto perché non aveva conosciuto mio padre.
Ora dormono sulle sponde del fiume di Isabella.
Micol ha portato lì la storia delle tredici lune, e ascoltano il passare delle acque tra i segreti che custodiscono e le notti che si raccolgono nelle albe.
Vivevano nel giardino. Alle ombre delle palme. In quel Mediterraneo che ha il vento del mare e delle dune.
In quel paese Mediterraneo che ha visto vivere mio padre e i fratelli che sono ormai storia. I cinque fratelli sono Storia e non una storia nel particolare. Hanno una eredità che è storia d’Italia.
Ci sono passaggi di epoche che segnano la memoria. E la memoria è stata segnata, e, in quel paese del martire Lorenzo e della Madonna delle Grazie, hanno tracciato destini anche per altre famiglie.
Percepire dalle leggende la storia di una famiglia è come se si ascoltasse una favola.
Una favola bella che ieri mi illuse e che oggi continua ad illudermi, con il sorriso e la consapevolezza di essere stato e di essere figlio e nipote di una grande famiglia e che i miei figli e i miei cugini sono stati eredi di una dignità e onestà nel segno della coerenza e dell’eleganza.
Ma quando si va oltre la percezione della leggenda e oltre le emozioni, pur restando tra i sentimenti e la ragione, tocchi con lo sguardo, perché leggi, e tocchi con le mani, perché sfogli pagine di vita nella storia, una verità che è quella di una famiglia alla quale devi te stesso, devi quello che sei.
Non solo perché porti il sangue di quella famiglia. E il nostro sangue non si baratta, non si disconosce, non si mette nel secchio del mescolio che aspetta, volutamente, di essere confuso. Guai a chi non si riconosce nel proprio sangue e nella propria dignità di destino in una nobiltà che è stile di vita.
Tocchi, allora, anche con gli occhi cosa è una dinastia e da questa dinastia cosa sono le eredità nella spiritualità dell’uomo.
I cinque fratelli non hanno cronache…
Neppure storie e avventure.
Hanno la Storia ed hanno fatto la storia tra nobiltà di comportamenti e distacchi.
Era il 2 febbraio del 1880 quando si univano in matrimonio Adolfo Bruni, figlio di Ermete, e Maria Giuseppa Fortunato figlia di Giovanni e di Teresa Mosca.
Cosa era San Lorenzo nel 1880?
Testimoni di nozze erano Salvatore Rogato e Domenico Pignataro. A celebrare il rito nuziale fu l’Arciprete Domenico Tursi. Ecco, dunque, la cronaca…
Con questa data comincia non un nuovo percorso, ma una verità che dovrà fare i conti con una comunità che era già all’interno dei processi storici risorgimentali in un tempo in cui l’Unità l’Italia aveva già stabilità delle regole, e San Lorenzo si proponeva, attraverso le due devozioni, come centro di un culto Orientale e bizantino da una parte e Latino e spagnolo – romano dall’altro.
Da qui possono nascere delle storie? No, da qui nasce una Storia che andrà a completarsi con l’incontro tra una nobiltà acrese e albanese e una borghesia sanlorenzana. Ovvero tra Giulia Gaudinieri, che sposerà Francesco Ermete, uno dei cinque figli di Adolfo e Maria Giuseppa.
In questo cerchio di sangue, e rimane cerchio di sangue, che è si racchiude intorno ai cinque fratelli, si rinnova una tradizione. La continuità dei Bruni, come eredi maschi, spetta a Mariano che avrà Giulia e Giorgio, a Gino che avrà Alfredo e Giulia, a Pietro che avrà Roberto e Susanna, a Virgilio Italo, di cui racconto me stesso raccontato la sua e la nostra storia, e ad Adolfo che avrà quattro fanciulle tra i fiori germoglianti della casa paterna: Giulia, Pina, Antonella, Anna.
La Storia, però, continua. E continua con altri eredi. Con Giorgio che avrà Donatella, con Afredo che avrà Luigi, con Roberto che avrà Marta e Mariano, così ritorna il nome di Mariano, con me che avrò Virgilio, come mio padre, e Micol…
Tutto nel segno di una eredità che non è solo di sangue, ma anche di nomi e cognomi, di stile, eleganza e nobiltà… La continuità…
Le tartarughe hanno ascoltato. Ma ascolteranno sempre e sempre ci narreranno cosa rappresentano le tredici lune…
Una volta uno sciamano della tribù degli Apache, incontrato in uno dei miei viaggi tra le distanze dei ritorni e le distese delle partenze, mi fermò e mi disse:
“Se hai il coraggio di sopportare la fine di ciò che chiamiamo Storia vivrai oltre il Tempo che ti è dato.
Se avrai il sorriso anche dopo aver perso la via la Luna ti guiderà oltre la via stessa.
Se saprai rinunciare alle risposte che pensi di dover dare a chi cerca di offenderti, percorrerai il viaggio, senza che il rimpianto e il rimorso potranno parlarti, segnando i solchi della nobiltà.
Se ad ogni parola che ti sarà rivolta replicherai avrai perduto il mistero del silenzio, che vive in te con l’eleganza della pazienza.
Se qualcuno ti chiederà di un tassello mancante non dare risposta, ma lascia nell’aurora le parole che hanno scritto nelle quali si rinnega l’appartenenza al proprio sangue.
Taci e vai per la tua strada…
Fermati nel deserto se è necessario. Poi cammina tra le dune se è necessario.
Nessuno potrà mai violare la tua nobiltà.
Resta in silenzio sino a quando il silenzio non sarà vento. E vivi la pazienza in attesa. Ci sarà un’aquila che sarà la tua guida.
Quell’aquila con la rosa nel becco ti porterà dove il dio incontra il Sole.”.
Non voglio sfuggire al richiamo.
Essere fedeli è saper guardare le stelle quando le stelle non avranno luce. Non ci si può confondere.
Noi restiamo quelli che siamo stati e se siamo stati tutto avrà un senso.
Le tartarughe dormono accanto al fiume. Ogni luna ha il suo solco. Per ogni tartaruga tredici solchi. Forse tredici generazioni che seguono il passaggio delle vele.
Una volta eravamo greci, mi racconta zio Gino, poi siamo diventati romani. Poi gli albanesi hanno confuso i percorsi. Ancora dopo gli spagnoli si sono inventati la fortezza del castello.
Poi, sottolinea mio padre, sono arrivati i veri italiani e ci hanno regalato un posto al sole come ci insegnato il poeta Giovannino Pascoli.
Ma mai, dice zio Adolfo, ci siamo confusi con quelli che rivoltavano le terre del barone.
Perché bisogna sempre fare il confronto, suggerisce zio Mariano, con i numeri perché sono i numeri la vera geografia che resta.
Ed è vero perché le terre, afferma zio Pietro, sono conferme di eredità. Come le case. Ci sono eredità donate ed eredita pretese, sfruttate e consumate e vendute ed eredità a futura memoria …
E non possiamo essere tutti uguali, insiste mio padre, perché, come mi ha suggerito Don Vittorio, dice ancora mio padre, la nobiltà non si inventa.
Così.
È vero la nobiltà non si inventa perché non scorre tra le fontane delle acque incolte, ma vive nei cuori che hanno il volo dell’aquila e la grandezza della pazienza…
Ci sono sempre strade che sembrano non percorribile poi basta un segno della luna e le ombre diventano orizzonti di luce. Non è sperare.
È il mistero che avvolgeva Ulisse nel suo sfidare i destini o Enea che non aveva mai previsto la tragedia di Didone. Ma qual è la differenza tra Ulisse ed Enea?
Le tartarughe non erano nate dalla stessa “covata”.
Due erano state accudite completamente da mio padre prima di arrivare tra altre terre. Le aveva curate con la disciplina del soldato che conosceva gli sguardi delle sentinelle lungo i fuochi delle trincee.
Enea diventa la fantasia dell’Occidente dopo essere stato il tragico e l’ironico di Troia.
Ulisse non smette, ancora oggi, di portarsi addosso, e nell’anima, la malinconia dell’inquieto navigante che ha tracciato, nei mari dei viaggi, le nostalgie e il gioco.
Una tartaruga poteva somigliare ad Enea e l’altra ad Ulisse. Fantasia, storia o finzione?
La terza, arrivata dopo, raccoglieva i giorni del ricordo e del racconto perché non aveva conosciuto mio padre.
Ora dormono sulle sponde del fiume di Isabella.
Micol ha portato lì la storia delle tredici lune, e ascoltano il passare delle acque tra i segreti che custodiscono e le notti che si raccolgono nelle albe.
Vivevano nel giardino. Alle ombre delle palme. In quel Mediterraneo che ha il vento del mare e delle dune.
In quel paese Mediterraneo che ha visto vivere mio padre e i fratelli che sono ormai storia. I cinque fratelli sono Storia e non una storia nel particolare. Hanno una eredità che è storia d’Italia.
Ci sono passaggi di epoche che segnano la memoria. E la memoria è stata segnata, e, in quel paese del martire Lorenzo e della Madonna delle Grazie, hanno tracciato destini anche per altre famiglie.
Percepire dalle leggende la storia di una famiglia è come se si ascoltasse una favola.
Una favola bella che ieri mi illuse e che oggi continua ad illudermi, con il sorriso e la consapevolezza di essere stato e di essere figlio e nipote di una grande famiglia e che i miei figli e i miei cugini sono stati eredi di una dignità e onestà nel segno della coerenza e dell’eleganza.
Ma quando si va oltre la percezione della leggenda e oltre le emozioni, pur restando tra i sentimenti e la ragione, tocchi con lo sguardo, perché leggi, e tocchi con le mani, perché sfogli pagine di vita nella storia, una verità che è quella di una famiglia alla quale devi te stesso, devi quello che sei.
Non solo perché porti il sangue di quella famiglia. E il nostro sangue non si baratta, non si disconosce, non si mette nel secchio del mescolio che aspetta, volutamente, di essere confuso. Guai a chi non si riconosce nel proprio sangue e nella propria dignità di destino in una nobiltà che è stile di vita.
Tocchi, allora, anche con gli occhi cosa è una dinastia e da questa dinastia cosa sono le eredità nella spiritualità dell’uomo.
I cinque fratelli non hanno cronache…
Neppure storie e avventure.
Hanno la Storia ed hanno fatto la storia tra nobiltà di comportamenti e distacchi.
Era il 2 febbraio del 1880 quando si univano in matrimonio Adolfo Bruni, figlio di Ermete, e Maria Giuseppa Fortunato figlia di Giovanni e di Teresa Mosca.
Cosa era San Lorenzo nel 1880?
Testimoni di nozze erano Salvatore Rogato e Domenico Pignataro. A celebrare il rito nuziale fu l’Arciprete Domenico Tursi. Ecco, dunque, la cronaca…
Con questa data comincia non un nuovo percorso, ma una verità che dovrà fare i conti con una comunità che era già all’interno dei processi storici risorgimentali in un tempo in cui l’Unità l’Italia aveva già stabilità delle regole, e San Lorenzo si proponeva, attraverso le due devozioni, come centro di un culto Orientale e bizantino da una parte e Latino e spagnolo – romano dall’altro.
Da qui possono nascere delle storie? No, da qui nasce una Storia che andrà a completarsi con l’incontro tra una nobiltà acrese e albanese e una borghesia sanlorenzana. Ovvero tra Giulia Gaudinieri, che sposerà Francesco Ermete, uno dei cinque figli di Adolfo e Maria Giuseppa.
In questo cerchio di sangue, e rimane cerchio di sangue, che è si racchiude intorno ai cinque fratelli, si rinnova una tradizione. La continuità dei Bruni, come eredi maschi, spetta a Mariano che avrà Giulia e Giorgio, a Gino che avrà Alfredo e Giulia, a Pietro che avrà Roberto e Susanna, a Virgilio Italo, di cui racconto me stesso raccontato la sua e la nostra storia, e ad Adolfo che avrà quattro fanciulle tra i fiori germoglianti della casa paterna: Giulia, Pina, Antonella, Anna.
La Storia, però, continua. E continua con altri eredi. Con Giorgio che avrà Donatella, con Afredo che avrà Luigi, con Roberto che avrà Marta e Mariano, così ritorna il nome di Mariano, con me che avrò Virgilio, come mio padre, e Micol…
Tutto nel segno di una eredità che non è solo di sangue, ma anche di nomi e cognomi, di stile, eleganza e nobiltà… La continuità…
Le tartarughe hanno ascoltato. Ma ascolteranno sempre e sempre ci narreranno cosa rappresentano le tredici lune…
Una volta uno sciamano della tribù degli Apache, incontrato in uno dei miei viaggi tra le distanze dei ritorni e le distese delle partenze, mi fermò e mi disse:
“Se hai il coraggio di sopportare la fine di ciò che chiamiamo Storia vivrai oltre il Tempo che ti è dato.
Se avrai il sorriso anche dopo aver perso la via la Luna ti guiderà oltre la via stessa.
Se saprai rinunciare alle risposte che pensi di dover dare a chi cerca di offenderti, percorrerai il viaggio, senza che il rimpianto e il rimorso potranno parlarti, segnando i solchi della nobiltà.
Se ad ogni parola che ti sarà rivolta replicherai avrai perduto il mistero del silenzio, che vive in te con l’eleganza della pazienza.
Se qualcuno ti chiederà di un tassello mancante non dare risposta, ma lascia nell’aurora le parole che hanno scritto nelle quali si rinnega l’appartenenza al proprio sangue.
Taci e vai per la tua strada…
Fermati nel deserto se è necessario. Poi cammina tra le dune se è necessario.
Nessuno potrà mai violare la tua nobiltà.
Resta in silenzio sino a quando il silenzio non sarà vento. E vivi la pazienza in attesa. Ci sarà un’aquila che sarà la tua guida.
Quell’aquila con la rosa nel becco ti porterà dove il dio incontra il Sole.”.
Non voglio sfuggire al richiamo.
Essere fedeli è saper guardare le stelle quando le stelle non avranno luce. Non ci si può confondere.
Noi restiamo quelli che siamo stati e se siamo stati tutto avrà un senso.
Le tartarughe dormono accanto al fiume. Ogni luna ha il suo solco. Per ogni tartaruga tredici solchi. Forse tredici generazioni che seguono il passaggio delle vele.
Una volta eravamo greci, mi racconta zio Gino, poi siamo diventati romani. Poi gli albanesi hanno confuso i percorsi. Ancora dopo gli spagnoli si sono inventati la fortezza del castello.
Poi, sottolinea mio padre, sono arrivati i veri italiani e ci hanno regalato un posto al sole come ci insegnato il poeta Giovannino Pascoli.
Ma mai, dice zio Adolfo, ci siamo confusi con quelli che rivoltavano le terre del barone.
Perché bisogna sempre fare il confronto, suggerisce zio Mariano, con i numeri perché sono i numeri la vera geografia che resta.
Ed è vero perché le terre, afferma zio Pietro, sono conferme di eredità. Come le case. Ci sono eredità donate ed eredita pretese, sfruttate e consumate e vendute ed eredità a futura memoria …
E non possiamo essere tutti uguali, insiste mio padre, perché, come mi ha suggerito Don Vittorio, dice ancora mio padre, la nobiltà non si inventa.
Così.
È vero la nobiltà non si inventa perché non scorre tra le fontane delle acque incolte, ma vive nei cuori che hanno il volo dell’aquila e la grandezza della pazienza…