La voce della magara tra i suoni del mare e le colline
di Pierfranco Bruni
di Pierfranco Bruni
Sempre ho creduto alla magia. Sono nato in una terra di alchimie. Il mare di Pitagora. Il sogno spezzato in una nuvola. La Calabria è un filo che lega la magia alla storia.
Tutto potrebbe essere storia ma avrebbe il viso dello sgomento.
Soltanto la magia ha sempre salvato questa terra.
La “Magaria” è l’alchimia del mare, la stregoneria delle donne che danzano intorno alla colonna di Pitagora tra la roccia e lo sciabordio delle onde.
Osservo i cigni. Il cigno nel mio giardino ha i colori della luna all’alba.
Le stelle cadono nelle notti che misurano lo spazio tra il tramontare e l’albeggiare.
Ho sempre viaggiato tra questi luoghi in cui la Grecia incontra l’Arabo e il cristiano partecipa al ballo tondo dei sufi.
Qui tutto è un suono. Chi avrà mai la capacità di ascoltare i suoni e raccogliere gli echi nella conchiglia del tempo?
Chi avrà mai la sensualità di osservare l’onda che penetra lo scoglio scavandolo come una ferita nel ventre della luna?
Ho attraversato la storia per vivere la magaria nell’indefinibile di questa terra.
Ha favole e miti nel sogno depositato tra le mani.
Mi racconto una leggenda e mi ritorna nella ripetizione della parole.
Tutto occorre che si racconti tre volte.
C’era una volta uno sciamano che mi prese per mano e mi condusse nella capanna in cui i canti sono silenzi e mi raccontò.
Mi parlò di una danzatrice e di quando caddero le stelle in un agosto di tante favole fa.
Caddero tre le stelle. Ed era d’agosto.
Forse caddero le stelle e il vento aveva il canto del deserto o forse del mare e gli echi di onde che giungevano nelle distanze che legavano i silenzi alla pazienza.
La danzatrice armena portava il velo di seta sul viso e sembrava indossare un chitone greco con sfumature arabe.
Nello sguardo nascondeva la malinconia che il velo mascherava.
Aveva danzato per una notte intera e i suoni giungevano sino alla terra della Cappadocia. Raccontava di un amore. Un amore perso nel tempo che non conosce i secoli o nello spazio tra il tempo che si vive e ciò che si vive nel tempo. E sapeva attendere…
Bisogna sempre saper aspettare…
Tutto potrebbe essere storia ma avrebbe il viso dello sgomento.
Soltanto la magia ha sempre salvato questa terra.
La “Magaria” è l’alchimia del mare, la stregoneria delle donne che danzano intorno alla colonna di Pitagora tra la roccia e lo sciabordio delle onde.
Osservo i cigni. Il cigno nel mio giardino ha i colori della luna all’alba.
Le stelle cadono nelle notti che misurano lo spazio tra il tramontare e l’albeggiare.
Ho sempre viaggiato tra questi luoghi in cui la Grecia incontra l’Arabo e il cristiano partecipa al ballo tondo dei sufi.
Qui tutto è un suono. Chi avrà mai la capacità di ascoltare i suoni e raccogliere gli echi nella conchiglia del tempo?
Chi avrà mai la sensualità di osservare l’onda che penetra lo scoglio scavandolo come una ferita nel ventre della luna?
Ho attraversato la storia per vivere la magaria nell’indefinibile di questa terra.
Ha favole e miti nel sogno depositato tra le mani.
Mi racconto una leggenda e mi ritorna nella ripetizione della parole.
Tutto occorre che si racconti tre volte.
C’era una volta uno sciamano che mi prese per mano e mi condusse nella capanna in cui i canti sono silenzi e mi raccontò.
Mi parlò di una danzatrice e di quando caddero le stelle in un agosto di tante favole fa.
Caddero tre le stelle. Ed era d’agosto.
Forse caddero le stelle e il vento aveva il canto del deserto o forse del mare e gli echi di onde che giungevano nelle distanze che legavano i silenzi alla pazienza.
La danzatrice armena portava il velo di seta sul viso e sembrava indossare un chitone greco con sfumature arabe.
Nello sguardo nascondeva la malinconia che il velo mascherava.
Aveva danzato per una notte intera e i suoni giungevano sino alla terra della Cappadocia. Raccontava di un amore. Un amore perso nel tempo che non conosce i secoli o nello spazio tra il tempo che si vive e ciò che si vive nel tempo. E sapeva attendere…
Bisogna sempre saper aspettare…
Fu un lampeggiare di pensieri e lei cantò. E il mare o forse il deserto recitavano un cantico.
Così la danzatrice.
“Caddero tre stelle sulla pianura delle mie mani
e divennero subito ricordo
e il ricordo si fermò alle soglie del labirinto.
Io cercai le tre stelle ma soltanto la nostalgia mi parlò.
Mi persi in un cammino che non aveva luogo
e i miei passi divennero orme
e poi solchi più profondi
fino a toccare l’anima della terra.
Io cercai le tre stelle
per domandare loro del mio amore perso tra nuvole e tempeste
ma soltanto ricordo ci fu”.
Passarono molti anni e il velo sul viso della danzatrice aveva cambiato colore.
Era striato di sfumature azzurre e nere.
Ogni notte un sogno e ogni sogno una storia dimenticata al sopraggiungere dell’alba.
Avrebbe voluto fermare tutte quelle storie e raccontarle lungo il passaggio delle stagioni. Ma non fu possibile.
Il sogno resta nella notte perché nel sogno altre vite camminano e altre vite ancora affollano il giorno con la trasparenza della luce.
La danzatrice pensò.
“Non è sempre vero che il sogno abiti la notte e nel chiarore del giorno ci siano altre storie.
Il sogno può attraversare anche il giorno. Bisogna essere convinti. Crederci.
Ho sempre affidato i miei sogni alle ore della notte per poi farli sparire lungo il filo della prima luce di una incerta alba.
Qui dove la terra è magia e il velo che porto è mistero e alchimia tutto può accadere.
Può accadere che un amore perduto nel tempo dei secoli ritorni.
Può accadere che le stelle raccontini profezie pur vivendo la nostalgia.
Può accadere che gli anni non ci fanno invecchiare ma che invecchino senza di noi.
Può accadere che il mare dialoghi con il deserto….
Può accadere…”.
Intanto ancora il silenzio e il silenzio, come sempre, ha bisogno della pazienza.
Si può vivere attraversando la pazienza nel giorno in cui il vento non custodisce più parole ma memorie.
L’amore della danzatrice non fu più soltanto nostalgia.
Così la danzatrice.
“Caddero tre stelle sulla pianura delle mie mani
e divennero subito ricordo
e il ricordo si fermò alle soglie del labirinto.
Io cercai le tre stelle ma soltanto la nostalgia mi parlò.
Mi persi in un cammino che non aveva luogo
e i miei passi divennero orme
e poi solchi più profondi
fino a toccare l’anima della terra.
Io cercai le tre stelle
per domandare loro del mio amore perso tra nuvole e tempeste
ma soltanto ricordo ci fu”.
Passarono molti anni e il velo sul viso della danzatrice aveva cambiato colore.
Era striato di sfumature azzurre e nere.
Ogni notte un sogno e ogni sogno una storia dimenticata al sopraggiungere dell’alba.
Avrebbe voluto fermare tutte quelle storie e raccontarle lungo il passaggio delle stagioni. Ma non fu possibile.
Il sogno resta nella notte perché nel sogno altre vite camminano e altre vite ancora affollano il giorno con la trasparenza della luce.
La danzatrice pensò.
“Non è sempre vero che il sogno abiti la notte e nel chiarore del giorno ci siano altre storie.
Il sogno può attraversare anche il giorno. Bisogna essere convinti. Crederci.
Ho sempre affidato i miei sogni alle ore della notte per poi farli sparire lungo il filo della prima luce di una incerta alba.
Qui dove la terra è magia e il velo che porto è mistero e alchimia tutto può accadere.
Può accadere che un amore perduto nel tempo dei secoli ritorni.
Può accadere che le stelle raccontini profezie pur vivendo la nostalgia.
Può accadere che gli anni non ci fanno invecchiare ma che invecchino senza di noi.
Può accadere che il mare dialoghi con il deserto….
Può accadere…”.
Intanto ancora il silenzio e il silenzio, come sempre, ha bisogno della pazienza.
Si può vivere attraversando la pazienza nel giorno in cui il vento non custodisce più parole ma memorie.
L’amore della danzatrice non fu più soltanto nostalgia.
Un bel giorno, forse fu così, giunse nel paese della roccia illuminata dalla luna un uomo vestito di bianco. Portava una sciarpa di lino sulla testa.
Un uomo del deserto... O forse un uomo che aveva navigato i mari…
Aveva una collana gialla e rossa intorno al collo e dei bracciali ai polsi che intrecciavano cammini.
Chiese della danzatrice armena.
Lo condussero nella casa di pietra all’ombra di una palma.
Lì si raccoglieva la danzatrice. Si fermò davanti all’ingresso.
La danzatrice si sollevò dal suo letto di sabbia e tappeti.
Non aveva il velo sul viso.
Si guardarono. Fu uno sguardo intenso.
Lei si sciolse i capelli e lui si slegò la sciarpa che portava sul capo.
Profondamente si guardarono.
Lui le tese le mani e lei lo abbracciò.
L’uomo vestito di bianco aveva camminato i deserti e si era fermato nella terra di Ararat.
Aveva pregato con le parole della profezia e della provvidenza.
Aveva cercato per le vie del destino la danzatrice armena. Sino a ritrovarla…
E fu così…
Caddero tre stelle sulla roccia di luna:
la prima per chi ha saputo ascoltare
la seconda per chi ha vissuto
la terza per chi saprà raccontare…
Forse caddero tre stelle e la luna illuminò la roccia per consegnare la prima stella a chi ha raccolto l’ascolto, la seconda a chi ha vissuto la pazienza e la terza a chi avrà il dono di non dimenticare… E forse in un altro giorno tutto potrà essere nuovamente raccontato…
Nella notte in cui caddero le stelle la danzatrice con il velo sul viso e l’uomo vestito di bianco si ritrovarono…
La via è lunga ma forse stretta…
io non ho più nulla da dire…
e il resto lo affido a voi…
I cigni voleranno?
Per viverla occorre non soltanto amarla.
La Calabria è un suono.
Ascolto.
Dopo la leggenda giunge il vento e il vento sempre racconta.
Ci fu un tempo in cui il mistero si fece sogno e il sogno aprì le stanze del cielo. Cammina e poi cammina…
Si incontrano i greci, gli arabi, i saraceni, i turchi…
Non so se la storia ha bisogna della magia o se la magia ha bisogno della storia…
In questa terra si sublima la memoria e il mondo sommerso è la recita che non si dimentica…
Bisogna ascoltarla tre volte la voce della magara tra i suoni del mare di Calabria e il fruscio dell’erba nelle colline che diventano montagne.
Gli Aspromonti e il Pollino custodiscono il vento.
E poi la danzatrice venuta dall’Armenia danzerà la sua magaria…
È come se questa terra avesse il canto delle sirene.
Ulisse è un navigante e ha il destino dei viaggiatori che portano il sale tra i capelli e negli occhi Calipso e Penelope.
La Calabria sa intrecciare gli Orienti quando non riesce a viverli. Ma sempre cadranno tre stelle e il cigno avrà il vento nel suo volo.
Un uomo del deserto... O forse un uomo che aveva navigato i mari…
Aveva una collana gialla e rossa intorno al collo e dei bracciali ai polsi che intrecciavano cammini.
Chiese della danzatrice armena.
Lo condussero nella casa di pietra all’ombra di una palma.
Lì si raccoglieva la danzatrice. Si fermò davanti all’ingresso.
La danzatrice si sollevò dal suo letto di sabbia e tappeti.
Non aveva il velo sul viso.
Si guardarono. Fu uno sguardo intenso.
Lei si sciolse i capelli e lui si slegò la sciarpa che portava sul capo.
Profondamente si guardarono.
Lui le tese le mani e lei lo abbracciò.
L’uomo vestito di bianco aveva camminato i deserti e si era fermato nella terra di Ararat.
Aveva pregato con le parole della profezia e della provvidenza.
Aveva cercato per le vie del destino la danzatrice armena. Sino a ritrovarla…
E fu così…
Caddero tre stelle sulla roccia di luna:
la prima per chi ha saputo ascoltare
la seconda per chi ha vissuto
la terza per chi saprà raccontare…
Forse caddero tre stelle e la luna illuminò la roccia per consegnare la prima stella a chi ha raccolto l’ascolto, la seconda a chi ha vissuto la pazienza e la terza a chi avrà il dono di non dimenticare… E forse in un altro giorno tutto potrà essere nuovamente raccontato…
Nella notte in cui caddero le stelle la danzatrice con il velo sul viso e l’uomo vestito di bianco si ritrovarono…
La via è lunga ma forse stretta…
io non ho più nulla da dire…
e il resto lo affido a voi…
I cigni voleranno?
Per viverla occorre non soltanto amarla.
La Calabria è un suono.
Ascolto.
Dopo la leggenda giunge il vento e il vento sempre racconta.
Ci fu un tempo in cui il mistero si fece sogno e il sogno aprì le stanze del cielo. Cammina e poi cammina…
Si incontrano i greci, gli arabi, i saraceni, i turchi…
Non so se la storia ha bisogna della magia o se la magia ha bisogno della storia…
In questa terra si sublima la memoria e il mondo sommerso è la recita che non si dimentica…
Bisogna ascoltarla tre volte la voce della magara tra i suoni del mare di Calabria e il fruscio dell’erba nelle colline che diventano montagne.
Gli Aspromonti e il Pollino custodiscono il vento.
E poi la danzatrice venuta dall’Armenia danzerà la sua magaria…
È come se questa terra avesse il canto delle sirene.
Ulisse è un navigante e ha il destino dei viaggiatori che portano il sale tra i capelli e negli occhi Calipso e Penelope.
La Calabria sa intrecciare gli Orienti quando non riesce a viverli. Ma sempre cadranno tre stelle e il cigno avrà il vento nel suo volo.