Larga è la strada stretto è il pensiero dite la vostra che ho detto la mia di Pierfranco Bruni Ogni pazienza ha tre luoghi: la saggezza, il sogno,il viaggio… ogni luogo è scavato nell’anima.
Questa volta caddero le lune.
Una luna tonda. Una mezza luna. Una falce di luna. La luna tonda per chi nulla ha capito ma ha saputo ascoltare. La mezza luna per chi non ha ascoltato ma si è affidato al mistero. La falce di luna per chi è rimasto assente, ma ha saputo raccogliere i segni dell’alchimia. |
C’era una volta una strada e forse c’erano echi…echi giunti da lontano.
Ci sono echi! E ascolto.
Il derviscio mi parla. È vestito di bianco e ha la voce roca.
Ogni sillaba ha una pausa. Osserva la luna. La mezza luna nel tempo del Ramadan.
La favola è un mito?
Ha la lunga barba. Bianca. Non smette di osservare il cielo.
Mi sussurra: “Forse c’era una volta una regina che aveva viaggiato il vento…Si vive di Mediterraneo. Tra la storia che nasce in una archeologia dei saperi e in un viaggio tra i saperi degli archetipi. Tra le civiltà che sono popoli e popoli che hanno dato identità a delle eredità scavate nella coscienza degli uomini”.
Poi si ferma. Sembra stanco. Mi guarda. Cambia discorso:
“C’era una volta una regina che rubò il turbante ad una zingara che arrivava dai Balcani… Aveva il mistero tra le mani…”.
Il mistero tra le mani?
Poi, ancora: “Confusioni… Allora? Si vive di Mediterraneo perché le radici delle culture hanno abitato il logos, ma anche il corpo, del linguaggio. Si vive di Mediterraneo tra le etnie che hanno dato un senso ad una Europa che si è persa e perdendosi ha smarrito il cuore dello spazio e lo spazio delle identità. E le guerre… il sangue… il mare…”.
Perché confonde tutto e intreccia linguaggi senza un nesso?
Continua: “Vivendo di Mediterraneo non si è soltanto storia ma anche favola. Le generazioni hanno bisogno dell’ascolto perché hanno bisogno del racconto, perché hanno bisogno di conoscere. Conoscere è nello stupore, negli amori filigranati lungo le attese delle alchimie che hanno mistero sogno magia”.
Smette il suo giocare con le parole e si allontana.
Dovrà ritornare in Cappadocia? Ma perché?
C’è l’Oriente nei suoni e una magara profetizza.
Ci sono echi! E ascolto.
Il derviscio mi parla. È vestito di bianco e ha la voce roca.
Ogni sillaba ha una pausa. Osserva la luna. La mezza luna nel tempo del Ramadan.
La favola è un mito?
Ha la lunga barba. Bianca. Non smette di osservare il cielo.
Mi sussurra: “Forse c’era una volta una regina che aveva viaggiato il vento…Si vive di Mediterraneo. Tra la storia che nasce in una archeologia dei saperi e in un viaggio tra i saperi degli archetipi. Tra le civiltà che sono popoli e popoli che hanno dato identità a delle eredità scavate nella coscienza degli uomini”.
Poi si ferma. Sembra stanco. Mi guarda. Cambia discorso:
“C’era una volta una regina che rubò il turbante ad una zingara che arrivava dai Balcani… Aveva il mistero tra le mani…”.
Il mistero tra le mani?
Poi, ancora: “Confusioni… Allora? Si vive di Mediterraneo perché le radici delle culture hanno abitato il logos, ma anche il corpo, del linguaggio. Si vive di Mediterraneo tra le etnie che hanno dato un senso ad una Europa che si è persa e perdendosi ha smarrito il cuore dello spazio e lo spazio delle identità. E le guerre… il sangue… il mare…”.
Perché confonde tutto e intreccia linguaggi senza un nesso?
Continua: “Vivendo di Mediterraneo non si è soltanto storia ma anche favola. Le generazioni hanno bisogno dell’ascolto perché hanno bisogno del racconto, perché hanno bisogno di conoscere. Conoscere è nello stupore, negli amori filigranati lungo le attese delle alchimie che hanno mistero sogno magia”.
Smette il suo giocare con le parole e si allontana.
Dovrà ritornare in Cappadocia? Ma perché?
C’è l’Oriente nei suoni e una magara profetizza.
Si avvertono lontananze di pioggia e giungono con i canti della pioggia…
Sarashil è dentro di me.
Se Sarashil non smette di dirmi che forse c’era una volta un tempo in cui non si chiedeva amore perché l’amore era, io cercherò di catturare il suo passo nella parola e quel passo e quella parola mi riporteranno ad un giardino d’infanzia dove l’Oriente non si contrapponeva all’Occidente e dove l’Occidente non era sublime civiltà soltanto.
Sublime civiltà.
Concetto astratto ma profondo.
Mi chiedo spesso cosa sarà del mio giardino quando non ci saranno più le belle di giorno o le belle di notte o quando le tartarughe saranno andate ad incontrare lo sciamano che viveva tra le palme, la feijoa e le rose.
Mi chiedo spesso perché ingialliscono tutte le pagine di quei libri custoditi nella sabbia delle stanze chiuse.
Comincio a capire che anche questo libro è finito…
Sarashil è dentro di me.
Se Sarashil non smette di dirmi che forse c’era una volta un tempo in cui non si chiedeva amore perché l’amore era, io cercherò di catturare il suo passo nella parola e quel passo e quella parola mi riporteranno ad un giardino d’infanzia dove l’Oriente non si contrapponeva all’Occidente e dove l’Occidente non era sublime civiltà soltanto.
Sublime civiltà.
Concetto astratto ma profondo.
Mi chiedo spesso cosa sarà del mio giardino quando non ci saranno più le belle di giorno o le belle di notte o quando le tartarughe saranno andate ad incontrare lo sciamano che viveva tra le palme, la feijoa e le rose.
Mi chiedo spesso perché ingialliscono tutte le pagine di quei libri custoditi nella sabbia delle stanze chiuse.
Comincio a capire che anche questo libro è finito…
Sarashil mi domanda spesso perché io che amo le solitudini mi strazio nelle distanze del chiasso… quando tra le aiuole del giardino potrei vivere la pazienza che ha il dono dello sguardo…
C’era una volta, o forse c’era una volta, in una terra chiama Ararat, il silenzio della bellezza e al centro di quella terra si incontravano il mito, il rito, la favola, la leggenda e la fiaba.
Mi correggo… C’era una volta la bellezza del silenzio… O forse?
Canti sciamani danze d’Oriente preghiere dei monaci del deserto… Donne armene che non hanno perso l’Asia e il vento d’Africa…
Tutto aveva un senso?
Più invecchio e più mi rendo conto che non è vero che tutto abbia un senso… o che tutto debba avere un senso…
Mi ritrovo sempre più libero, ma la mia libertà è essere ribelle anche negli anni che sono avanti rispetto a quelli che ho già vissuto.
Una danzatrice armena intreccia i suoi capelli alle mie mani… Le sue dita sulle mie labbra…Ha la sensualità delle notti nei veli di Cleopatra…
Non ho più bisogno della favola della regina che sconfigge l’orco o della ranocchia che gracchia sulle rughe della porta della mia stanza.
C’era una volta, o forse c’era una volta, una danzatrice armena, l’antica e solita leggenda della danzatrice, che portava il mare negli occhi e il sorriso sulle labbra, e le labbra avevano la saggezza del silenzio.
Si fermò nel mio giardino e mi raccontò che un gabbiano l’aveva trasportata attraversando il vento, sfiorando i porti da Costantinopoli a Sibari e a Sibari visse per notti intere nella città che poi verrà distrutta con i suoni della Magna Grecia. Mentre Pitagora decifrava ogni storia con il destino dei numeri.
…la terra di Ararat ha il suo Mediterraneo tra le fiamme che toccano il cielo nella preghiera di Noé.
Qui la strada si allarga.
Larga è la strada stretto è il pensiero dite la vostra che ho detto la mia.
Ed è così che tutto divenne un caos.
Sarashil, preziosa come le tre stelle lungo la via che porta ai deserti, custodì ogni mia parola nel labirinto, dicendomi che avrei dovuto aspettare Arianna.
Ogni pazienza ha tre luoghi: la saggezza, il sogno,il viaggio… ogni luogo è scavato nell’anima.
Questa volta caddero le lune.
Una luna tonda. Una mezza luna. Una falce di luna.
La luna tonda per chi nulla ha capito ma ha saputo ascoltare.
La mezza luna per chi non ha ascoltato ma si è affidato al mistero.
La falce di luna per chi è rimasto assente, ma ha saputo raccogliere i segni dell’alchimia.
C’era una volta, o forse c’era una volta, in una terra chiama Ararat, il silenzio della bellezza e al centro di quella terra si incontravano il mito, il rito, la favola, la leggenda e la fiaba.
Mi correggo… C’era una volta la bellezza del silenzio… O forse?
Canti sciamani danze d’Oriente preghiere dei monaci del deserto… Donne armene che non hanno perso l’Asia e il vento d’Africa…
Tutto aveva un senso?
Più invecchio e più mi rendo conto che non è vero che tutto abbia un senso… o che tutto debba avere un senso…
Mi ritrovo sempre più libero, ma la mia libertà è essere ribelle anche negli anni che sono avanti rispetto a quelli che ho già vissuto.
Una danzatrice armena intreccia i suoi capelli alle mie mani… Le sue dita sulle mie labbra…Ha la sensualità delle notti nei veli di Cleopatra…
Non ho più bisogno della favola della regina che sconfigge l’orco o della ranocchia che gracchia sulle rughe della porta della mia stanza.
C’era una volta, o forse c’era una volta, una danzatrice armena, l’antica e solita leggenda della danzatrice, che portava il mare negli occhi e il sorriso sulle labbra, e le labbra avevano la saggezza del silenzio.
Si fermò nel mio giardino e mi raccontò che un gabbiano l’aveva trasportata attraversando il vento, sfiorando i porti da Costantinopoli a Sibari e a Sibari visse per notti intere nella città che poi verrà distrutta con i suoni della Magna Grecia. Mentre Pitagora decifrava ogni storia con il destino dei numeri.
…la terra di Ararat ha il suo Mediterraneo tra le fiamme che toccano il cielo nella preghiera di Noé.
Qui la strada si allarga.
Larga è la strada stretto è il pensiero dite la vostra che ho detto la mia.
Ed è così che tutto divenne un caos.
Sarashil, preziosa come le tre stelle lungo la via che porta ai deserti, custodì ogni mia parola nel labirinto, dicendomi che avrei dovuto aspettare Arianna.
Ogni pazienza ha tre luoghi: la saggezza, il sogno,il viaggio… ogni luogo è scavato nell’anima.
Questa volta caddero le lune.
Una luna tonda. Una mezza luna. Una falce di luna.
La luna tonda per chi nulla ha capito ma ha saputo ascoltare.
La mezza luna per chi non ha ascoltato ma si è affidato al mistero.
La falce di luna per chi è rimasto assente, ma ha saputo raccogliere i segni dell’alchimia.