“Chi dice che il tempo passa?/Passa il tempo che non è nulla”. (Da “Poesie varie”). Luigi Pirandello incastra il concetto di tempo in una dimensione che è esistenziale, ma che non raggiunge la sensualità del tragico. La contrapposizione tra umorismo e ironia punta ad una visione della vita che è tutta giocata tra l’essere, l’apparire e il reale. La maschera non è mai il doppio. Può leggersi come una contraddizione, ma si tratta di una contraddizione sempre distante dalla storia.
Non c’è la storia, come registrazione della cronaca, perché in Pirandello non c’è ideologia. Questo nel Pirandello della poesia, dei primi testi e della stagione giolittiana o della vacanza pre-fascista. Il consolidamento del pensiero robusto che naviga tra l’ironia e la consensualità filosofica del tragico si ha già nel 1904.
Il fu Mattia Pascal è una pagina consistente non solo dal punto di vista letterario, ma soprattutto in quella contraddizione (termine già usato) tra vita e forma che solidifica l’incontro tra arte e poesia. Questo testo distacca i primi anni del Novecento dall’ideologia. Lo distacca completamente dalla incasellatura filosofica della ragione pura o ragione pratica per il semplice fatto che recide la ragione dalla letteratura e soprattutto dalla poesia.
Eppure era una temperie che molto aveva insistito sul concetto del vero e della ragione con il Verga. Pirandello propone una diversa chiave di lettura di Verga e lo rende sufficientemente meno provinciale. Comunque con Il fu Mattia Pascal si entra nel velo del pensiero filosofico che gira intorno ai linguaggi meta-onirici dell’assurdo, dell’enigma, della complicità tra l’essere e l’essere stato.
Ciò permette a Pirandello di introdurre, nel contesto del Novecento, la rottura del confronto con il sociale e di impossessarsi della persona come uomo (Marcel è nel personalismo dei personaggi pirandelliani), come individualità, come soggetto del pensiero e non come soggetto delle classi. Ovvero è la manifestazione diretta di uno scrittore che conosce il senso della ribellione, valuta la direzione della rivoluzione ma non accoglie l’obiettività. Una filosofia non della prassi ma dell’essere.
Quando Pirandello aderisce pubblicamente al Fascismo (1924), con la richiesta di iscrizione al Partito, lo fa con quella consapevolezza di essere un uomo che non ha voluto confrontarsi con la democrazia, perché non crede nella democrazia, e con la decisa convinzione di essere uno scrittore che sa guardare alla politica e nella politica ha la forza di recuperare l’arte – poesia.
Il Fascismo pirandelliano, in fondo, non ha una ideologia perché non è ideologia, bensì una filosofia. Ma non bisogna attendere il 1924. Il Pirandello consapevole delle contraddizioni di un Novecento nella sua aurora lo si legge già manifestamente con Il fu Mattia Pascal. È uno dei primi testi letterari che annuncia una filosofia fascista.
Non esistono le classi in Pirandello, possono esistere le masse ed è l’intrecciare le metafore con ciò che il pensiero è, e con ciò che il pensiero elabora mentre gli occhi osservano. Ma nel 1904 non ci sono le classi soltanto, non ci sono neppure le masse.
In Pirandello, comunque, l’idea, l’idea, delle masse è visibile ed è anche trattabile, quelle delle classi non esiste.
Il fu Mattia Pascal è l’articolato pensiero di una filosofia in cui l’individuo è l’espressione di un io, in cui la contraddizione è esistenziale certamente, ed è agli antipodi dell’illusionismo ideologico illuminista. Mattia Pascal è la “soffitta” nella quale si custodiscono il pensiero e la memoria, la tradizione e la ribellione, la solitudine e la capacità di ciò che la solitudine stessa scava nel porto dell’anima.
Mattia Pascal non ha illusioni, non ha ragioni, non ha ideologia e non è ideologia. Piuttosto è l’immateriale che si fa pensiero.
È un personaggio del pensiero forte che ha come contraltari l’assurdo, l’abisso, il naufragio che verrà ripreso da Ungaretti, la contemplazione senza le regole della teologia, l’abbandono e i “miti” oltre lo specchio (tema che verrà recuperato dallo stesso Pirandello con il teatro del 1928).
Pirandello parla di una “…tirannia mascherata da libertà…”, già nella prima stesura del suo scritto. Siamo nell’incipit del Novecento. Il Fascismo è distante e Giolitti è dentro quel contesto. Ma va oltre sottolineando: “… la causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché quando il potere è in mano d’uno solo, quest’uno sa di esser uno e di dover contentare i molti; ma quando i molti governano pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà”.
Non credo che si possono avere dubbi sul Pirandello che aderisce al Fascismo perché è già Fascista, anzi disegna il pensiero del Fascismo proprio con il personaggio singolare del Mattia Pascal.
Su questo percorso continuerà perché è la sua filosofia di base e, addirittura, sembra insistere su una filosofia nella quale si incarna il Fascismo che non è, lo fa capire più volte, una ideologia. Il Fascismo stesso, per Pirandello, è una filosofia.
Con I vecchi e i giovani, la cui scrittura risale al 1913, Pirandello anticipa anche Mussolini nella sua visione contro il mondo socialista ed è come se lo stesso Mussolini abbia avuto bisogno di questo romanzo per usare una dialettica attraverso gli strumenti del linguaggio letterario e del linguaggio storico.
Mussolini fa di questo romanzo una interpretazione antropologica del popolo italiano. Qui c’è proprio l’impatto contro le classi e c’è il prevalere del pensiero che può dominare oltre la visione di democrazia.
Ecco Pirandello de I vecchi e i giovani: “Che forza può avere il numero? Ti può dar l’urto bestiale; ma la valanga che atterra si frantuma anch’essa nello stesso tempo. Ah che nausea! Che nausea! A uno a uno hanno paura, capisci? E si raccolgono in mille per fare un passo che non saprebbero da soli; a uno a uno non hanno un pensiero; mille teste vuote, raccolte insieme, si figurano che l’avranno, e non s’accorgono che è quello del matto o dell’imbroglione che le guida”.
Chiaramente Pirandello non accetta il mondo giolittiano, non ama la democrazia, anzi è come se la disprezzasse, e pone come questione fondamentale il “caos”, non in senso di luogo o di geografia, ma come antitesi all’ordine sociale. Tutto questo è già Fascismo, ovvero è il Fascismo filosofia, perché nell’intreccio che Pirandello pone non ci sono numeri che possono pretendere l’illusione della rivoluzione oltre la manifestazione di un pensiero.
Il “caos” è la ribellione che vive nel pensiero. Nel suo saggio su Verga si comprende palesemente che l’obiettività non esiste. Ma la filosofia che ricama i contorni della letteratura può essere obiettiva? Si nutre di utopia perché è dentro il legame arte – poesia. C’è un Pirandello che annuncia il Fascismo proprio attraverso la prima stesura del saggio su Verga e c’è un Pirandello Fascista che sottolinea la centralità dei “sentimenti” con leMaschere nude e con I miti.
Ma i “sentimenti eterni” sono nel portato esistenziale di Mattia Pascal. Pirandello va oltre le apparenze e va oltre le illusioni e il suo Fascismo è un concetto di vita oltre a restare una filosofia. Mussolini nella sua intervista a Emil Ludwig dirà: “Pirandello fa, in sostanza, senza volerlo, del teatro fascista: il mondo è come vogliamo che sia, è la nostra creazione” (Colloqui con Mussolini, Milano, 1932).
È certo che insiste un Pirandello “fascista nel fascismo”, e ciò è imprescindibile come resta imprescindibile la forma e i personaggi che ha dato alla sua opera. Si parte da una concezione di vita che penetra la letteratura, e questa ha un visione propriamente filosofica già a partire dalla poesia.
“Vivo del sogno di un’ombra nell’acqua…”. Forse è questo sogno che si è ribellato alle illusioni quando si pensava che la ragione fosse il tutto…
Non c’è la storia, come registrazione della cronaca, perché in Pirandello non c’è ideologia. Questo nel Pirandello della poesia, dei primi testi e della stagione giolittiana o della vacanza pre-fascista. Il consolidamento del pensiero robusto che naviga tra l’ironia e la consensualità filosofica del tragico si ha già nel 1904.
Il fu Mattia Pascal è una pagina consistente non solo dal punto di vista letterario, ma soprattutto in quella contraddizione (termine già usato) tra vita e forma che solidifica l’incontro tra arte e poesia. Questo testo distacca i primi anni del Novecento dall’ideologia. Lo distacca completamente dalla incasellatura filosofica della ragione pura o ragione pratica per il semplice fatto che recide la ragione dalla letteratura e soprattutto dalla poesia.
Eppure era una temperie che molto aveva insistito sul concetto del vero e della ragione con il Verga. Pirandello propone una diversa chiave di lettura di Verga e lo rende sufficientemente meno provinciale. Comunque con Il fu Mattia Pascal si entra nel velo del pensiero filosofico che gira intorno ai linguaggi meta-onirici dell’assurdo, dell’enigma, della complicità tra l’essere e l’essere stato.
Ciò permette a Pirandello di introdurre, nel contesto del Novecento, la rottura del confronto con il sociale e di impossessarsi della persona come uomo (Marcel è nel personalismo dei personaggi pirandelliani), come individualità, come soggetto del pensiero e non come soggetto delle classi. Ovvero è la manifestazione diretta di uno scrittore che conosce il senso della ribellione, valuta la direzione della rivoluzione ma non accoglie l’obiettività. Una filosofia non della prassi ma dell’essere.
Quando Pirandello aderisce pubblicamente al Fascismo (1924), con la richiesta di iscrizione al Partito, lo fa con quella consapevolezza di essere un uomo che non ha voluto confrontarsi con la democrazia, perché non crede nella democrazia, e con la decisa convinzione di essere uno scrittore che sa guardare alla politica e nella politica ha la forza di recuperare l’arte – poesia.
Il Fascismo pirandelliano, in fondo, non ha una ideologia perché non è ideologia, bensì una filosofia. Ma non bisogna attendere il 1924. Il Pirandello consapevole delle contraddizioni di un Novecento nella sua aurora lo si legge già manifestamente con Il fu Mattia Pascal. È uno dei primi testi letterari che annuncia una filosofia fascista.
Non esistono le classi in Pirandello, possono esistere le masse ed è l’intrecciare le metafore con ciò che il pensiero è, e con ciò che il pensiero elabora mentre gli occhi osservano. Ma nel 1904 non ci sono le classi soltanto, non ci sono neppure le masse.
In Pirandello, comunque, l’idea, l’idea, delle masse è visibile ed è anche trattabile, quelle delle classi non esiste.
Il fu Mattia Pascal è l’articolato pensiero di una filosofia in cui l’individuo è l’espressione di un io, in cui la contraddizione è esistenziale certamente, ed è agli antipodi dell’illusionismo ideologico illuminista. Mattia Pascal è la “soffitta” nella quale si custodiscono il pensiero e la memoria, la tradizione e la ribellione, la solitudine e la capacità di ciò che la solitudine stessa scava nel porto dell’anima.
Mattia Pascal non ha illusioni, non ha ragioni, non ha ideologia e non è ideologia. Piuttosto è l’immateriale che si fa pensiero.
È un personaggio del pensiero forte che ha come contraltari l’assurdo, l’abisso, il naufragio che verrà ripreso da Ungaretti, la contemplazione senza le regole della teologia, l’abbandono e i “miti” oltre lo specchio (tema che verrà recuperato dallo stesso Pirandello con il teatro del 1928).
Pirandello parla di una “…tirannia mascherata da libertà…”, già nella prima stesura del suo scritto. Siamo nell’incipit del Novecento. Il Fascismo è distante e Giolitti è dentro quel contesto. Ma va oltre sottolineando: “… la causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché quando il potere è in mano d’uno solo, quest’uno sa di esser uno e di dover contentare i molti; ma quando i molti governano pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà”.
Non credo che si possono avere dubbi sul Pirandello che aderisce al Fascismo perché è già Fascista, anzi disegna il pensiero del Fascismo proprio con il personaggio singolare del Mattia Pascal.
Su questo percorso continuerà perché è la sua filosofia di base e, addirittura, sembra insistere su una filosofia nella quale si incarna il Fascismo che non è, lo fa capire più volte, una ideologia. Il Fascismo stesso, per Pirandello, è una filosofia.
Con I vecchi e i giovani, la cui scrittura risale al 1913, Pirandello anticipa anche Mussolini nella sua visione contro il mondo socialista ed è come se lo stesso Mussolini abbia avuto bisogno di questo romanzo per usare una dialettica attraverso gli strumenti del linguaggio letterario e del linguaggio storico.
Mussolini fa di questo romanzo una interpretazione antropologica del popolo italiano. Qui c’è proprio l’impatto contro le classi e c’è il prevalere del pensiero che può dominare oltre la visione di democrazia.
Ecco Pirandello de I vecchi e i giovani: “Che forza può avere il numero? Ti può dar l’urto bestiale; ma la valanga che atterra si frantuma anch’essa nello stesso tempo. Ah che nausea! Che nausea! A uno a uno hanno paura, capisci? E si raccolgono in mille per fare un passo che non saprebbero da soli; a uno a uno non hanno un pensiero; mille teste vuote, raccolte insieme, si figurano che l’avranno, e non s’accorgono che è quello del matto o dell’imbroglione che le guida”.
Chiaramente Pirandello non accetta il mondo giolittiano, non ama la democrazia, anzi è come se la disprezzasse, e pone come questione fondamentale il “caos”, non in senso di luogo o di geografia, ma come antitesi all’ordine sociale. Tutto questo è già Fascismo, ovvero è il Fascismo filosofia, perché nell’intreccio che Pirandello pone non ci sono numeri che possono pretendere l’illusione della rivoluzione oltre la manifestazione di un pensiero.
Il “caos” è la ribellione che vive nel pensiero. Nel suo saggio su Verga si comprende palesemente che l’obiettività non esiste. Ma la filosofia che ricama i contorni della letteratura può essere obiettiva? Si nutre di utopia perché è dentro il legame arte – poesia. C’è un Pirandello che annuncia il Fascismo proprio attraverso la prima stesura del saggio su Verga e c’è un Pirandello Fascista che sottolinea la centralità dei “sentimenti” con leMaschere nude e con I miti.
Ma i “sentimenti eterni” sono nel portato esistenziale di Mattia Pascal. Pirandello va oltre le apparenze e va oltre le illusioni e il suo Fascismo è un concetto di vita oltre a restare una filosofia. Mussolini nella sua intervista a Emil Ludwig dirà: “Pirandello fa, in sostanza, senza volerlo, del teatro fascista: il mondo è come vogliamo che sia, è la nostra creazione” (Colloqui con Mussolini, Milano, 1932).
È certo che insiste un Pirandello “fascista nel fascismo”, e ciò è imprescindibile come resta imprescindibile la forma e i personaggi che ha dato alla sua opera. Si parte da una concezione di vita che penetra la letteratura, e questa ha un visione propriamente filosofica già a partire dalla poesia.
“Vivo del sogno di un’ombra nell’acqua…”. Forse è questo sogno che si è ribellato alle illusioni quando si pensava che la ragione fosse il tutto…