Quando mio padre leggeva Guy de Maupassant
e Carolina Invernizio
di Pierfranco Bruni
Ho vissuto di viaggi. Sono stati incontri. Perdizioni. Ascolti e percorsi tra le vie delle rose o tra i labirinti che hanno disegnato il tempo.
C’era una volta la perdita del tempo che si frammentava tra le parole e le nostalgie. Si mise a raccogliere pezzi di vento e foglie d’autunno tra le sere che sembravano dimenticate.
Le sere sono tra i petali e hanno tra le mani le spine delle tre rose. Rossa, blu, gialla. Poi la gialla divenne una rosa bianca.
Marinaio e navigante di deserti.
Ho sempre un conto in sospeso.
Con te. Madre. Sono io a non volerlo chiudere perché il vuoto deve restare vuoto nelle mie malinconie ed ho la necessità di capire come ogni ferita di luna abbia la sua importanza e la sua profondità.
Il tempo passa ed io e te madre restiamo complici, ma sono stato io a consumare un tradimento che tu non avresti mai commesso.
Ecco!
Quella telefonata non arriverà. Lo so! È giusto che sia così. È giusto per l’inganno che ho trasmesso al tuo sguardo, ai tuoi occhi, alle tue labbra.
Mi chiedo del viaggio?
Se il viaggio ha bisogno di un'isola non so!
Di un porto necessita. Perché anche quando il vento ha il Ponente negli occhi il Levante si alza verso le onde di altura.
Si cerca nel mito di restare fedeli a Itaca
ma noi siamo sempre eredi delle fiamme
di Troia e dell'inganno.
Calipso o Medea...
Ogigia e il tempo immortale.
Non dovevi in questo Mediterraneo perso uccidere i tuoi figli... sciagurata Medea madre o madre Medea.
Il viaggio è anche perdizione.
Il mio resta perdizione anche se lungo le attese consumo le parole che non ho avuto la forza di pronunciare.
Mi canto:
Sette veli e tre lune!
Tre lune e sette veli
sono tra la tua danza
e il mio sguardo.
Per amare non bisogna possedersi!
È triste amare
senza possedersi!
Tre veli e sette lune
hanno echi e nostalgia.
Portami il vento
tu che di vento
sei fatta.
Sette veli per il tuo corpo.
Tre lune per il mio viaggio.
Per te amore mio
con le tre lune e i sette veli.
Il canto mi riporta a Garcia Lorca. Ed è sempre un lamento o una nenia…
Madre ricordi quando leggevo Garcia Lorca seduta sulla poltrona dello studio la cui finestra aveva le rose rampicanti che entravano nella stanza?
Tu mi chiedevi sempre se il libro che leggevo potevi leggerlo anche tu.
Tante volte ho trovato sul tuo comodino i miei libri. Tutti rigorosamente sottolineati. Annotati. Come faceva papà con il suo Guy de Maupassant o Carolina Invernizio.
Quando mio padre leggeva Guy de Maupassant e Carolina Invernizio aveva dieci anni o soltanto undici.
Non dimenticarlo mio caro lettore.
Se siamo abitanti di labirinti siamo anche danzatori sufi che dalla Persia sono giunti nel greco mare.
Noi siamo stati Ulisse. Siamo persi tra le mani di Enea.
Amiamo Cleopatra.
I passi dei sufi sono illuminazioni di Dio.
Ed io leggo il mio viaggio accanto per non dimenticare la memoria dimenticata tra le lune dell'alba.
Ora riscrivimi mio marinaio di deserti il tempo che più non ho e la nostalgia delle mie terre di infanzia.
Non posso che recitare, cantare e osservare le danze che abitano i miei pensieri.
Ormai il mal di testa mi svegli ogni notte. Bussano colpi di memorie. Sono fatte di terra impastata con pietre e stizze di mattoni.
Non ho più acceso il fuoco. Da quando sei andava via, madre mia, non ho acceso il fuoco nei nostri caminetti.
Non sono mai riuscito ad avere la vostra capacità e la vostra pazienza. Vi ho sempre guardato scrutandovi. Cercando di percepire.
Due giganti che hanno lasciato solchi pesanti. Ci siete. Sempre. Anche ora che scrivo.
Quando si scrive di qualcuno, si dice, che si allontana. Falso.
Sottovoce canto:
Tre lune sul mio terrazzo
hanno spaccato la notte
in tre strade.
Tre lune per tre amanti.
Canterò per non dimenticare.
Danzerò per non fuggire.
Reciterò per non tradire.
Tre lune.
Poi chiuderò il buio
per non ascoltarmi più.
Non smetto di vivere di viaggi. Il lungo esercizio di non perdersi restando fermi. Potrei restare in una stanza e ascoltare gli echi. Vivere di echi. Non ho rimpianti. Ma conti in sospeso sì.
Sono segnati sulla libretta nera custodita in una valigia di legno…
Forse la nostalgia è tanta. Per non aver detto. Per non aver fatto. Per essere rimasto intrecciato in un silenzio che è diventato sconfinante. Il silenzio non sconfigge.
Sulla finestra sono rimaste le tre rose e sul terrazzo le lune. Una di dicembre. Una di ottobre e la terza di febbraio.
Tre lune e tre rose per non dimenticare i passaggi di tempo nella terra tra le mie mani.
Così!
Racconto gli anni delle rose tra i silenzi e i miei sguardi e so che la terra impastata tra le mie mani è fatta di memorie d'epoche...
Quando mio padre leggeva Guy de Maupassant e Carolina Invernizio lasciava scivolare il tempo tra una pianta d’uliveto e un filare di vigna con le vite basse, e sapeva riconoscere, da una foglia appena pronunciata, l’uva bianca da quella rossa, mentre io alla sua età di allora non mi ricordo più… ma lui lo ricordo sempre…
Mia madre cantava, tra gli spazi delle ore, il Tango delle Rose…
Io, ora, viaggio tra i luoghi della mia stanza sul mare…
e Carolina Invernizio
di Pierfranco Bruni
Ho vissuto di viaggi. Sono stati incontri. Perdizioni. Ascolti e percorsi tra le vie delle rose o tra i labirinti che hanno disegnato il tempo.
C’era una volta la perdita del tempo che si frammentava tra le parole e le nostalgie. Si mise a raccogliere pezzi di vento e foglie d’autunno tra le sere che sembravano dimenticate.
Le sere sono tra i petali e hanno tra le mani le spine delle tre rose. Rossa, blu, gialla. Poi la gialla divenne una rosa bianca.
Marinaio e navigante di deserti.
Ho sempre un conto in sospeso.
Con te. Madre. Sono io a non volerlo chiudere perché il vuoto deve restare vuoto nelle mie malinconie ed ho la necessità di capire come ogni ferita di luna abbia la sua importanza e la sua profondità.
Il tempo passa ed io e te madre restiamo complici, ma sono stato io a consumare un tradimento che tu non avresti mai commesso.
Ecco!
Quella telefonata non arriverà. Lo so! È giusto che sia così. È giusto per l’inganno che ho trasmesso al tuo sguardo, ai tuoi occhi, alle tue labbra.
Mi chiedo del viaggio?
Se il viaggio ha bisogno di un'isola non so!
Di un porto necessita. Perché anche quando il vento ha il Ponente negli occhi il Levante si alza verso le onde di altura.
Si cerca nel mito di restare fedeli a Itaca
ma noi siamo sempre eredi delle fiamme
di Troia e dell'inganno.
Calipso o Medea...
Ogigia e il tempo immortale.
Non dovevi in questo Mediterraneo perso uccidere i tuoi figli... sciagurata Medea madre o madre Medea.
Il viaggio è anche perdizione.
Il mio resta perdizione anche se lungo le attese consumo le parole che non ho avuto la forza di pronunciare.
Mi canto:
Sette veli e tre lune!
Tre lune e sette veli
sono tra la tua danza
e il mio sguardo.
Per amare non bisogna possedersi!
È triste amare
senza possedersi!
Tre veli e sette lune
hanno echi e nostalgia.
Portami il vento
tu che di vento
sei fatta.
Sette veli per il tuo corpo.
Tre lune per il mio viaggio.
Per te amore mio
con le tre lune e i sette veli.
Il canto mi riporta a Garcia Lorca. Ed è sempre un lamento o una nenia…
Madre ricordi quando leggevo Garcia Lorca seduta sulla poltrona dello studio la cui finestra aveva le rose rampicanti che entravano nella stanza?
Tu mi chiedevi sempre se il libro che leggevo potevi leggerlo anche tu.
Tante volte ho trovato sul tuo comodino i miei libri. Tutti rigorosamente sottolineati. Annotati. Come faceva papà con il suo Guy de Maupassant o Carolina Invernizio.
Quando mio padre leggeva Guy de Maupassant e Carolina Invernizio aveva dieci anni o soltanto undici.
Non dimenticarlo mio caro lettore.
Se siamo abitanti di labirinti siamo anche danzatori sufi che dalla Persia sono giunti nel greco mare.
Noi siamo stati Ulisse. Siamo persi tra le mani di Enea.
Amiamo Cleopatra.
I passi dei sufi sono illuminazioni di Dio.
Ed io leggo il mio viaggio accanto per non dimenticare la memoria dimenticata tra le lune dell'alba.
Ora riscrivimi mio marinaio di deserti il tempo che più non ho e la nostalgia delle mie terre di infanzia.
Non posso che recitare, cantare e osservare le danze che abitano i miei pensieri.
Ormai il mal di testa mi svegli ogni notte. Bussano colpi di memorie. Sono fatte di terra impastata con pietre e stizze di mattoni.
Non ho più acceso il fuoco. Da quando sei andava via, madre mia, non ho acceso il fuoco nei nostri caminetti.
Non sono mai riuscito ad avere la vostra capacità e la vostra pazienza. Vi ho sempre guardato scrutandovi. Cercando di percepire.
Due giganti che hanno lasciato solchi pesanti. Ci siete. Sempre. Anche ora che scrivo.
Quando si scrive di qualcuno, si dice, che si allontana. Falso.
Sottovoce canto:
Tre lune sul mio terrazzo
hanno spaccato la notte
in tre strade.
Tre lune per tre amanti.
Canterò per non dimenticare.
Danzerò per non fuggire.
Reciterò per non tradire.
Tre lune.
Poi chiuderò il buio
per non ascoltarmi più.
Non smetto di vivere di viaggi. Il lungo esercizio di non perdersi restando fermi. Potrei restare in una stanza e ascoltare gli echi. Vivere di echi. Non ho rimpianti. Ma conti in sospeso sì.
Sono segnati sulla libretta nera custodita in una valigia di legno…
Forse la nostalgia è tanta. Per non aver detto. Per non aver fatto. Per essere rimasto intrecciato in un silenzio che è diventato sconfinante. Il silenzio non sconfigge.
Sulla finestra sono rimaste le tre rose e sul terrazzo le lune. Una di dicembre. Una di ottobre e la terza di febbraio.
Tre lune e tre rose per non dimenticare i passaggi di tempo nella terra tra le mie mani.
Così!
Racconto gli anni delle rose tra i silenzi e i miei sguardi e so che la terra impastata tra le mie mani è fatta di memorie d'epoche...
Quando mio padre leggeva Guy de Maupassant e Carolina Invernizio lasciava scivolare il tempo tra una pianta d’uliveto e un filare di vigna con le vite basse, e sapeva riconoscere, da una foglia appena pronunciata, l’uva bianca da quella rossa, mentre io alla sua età di allora non mi ricordo più… ma lui lo ricordo sempre…
Mia madre cantava, tra gli spazi delle ore, il Tango delle Rose…
Io, ora, viaggio tra i luoghi della mia stanza sul mare…