Che cosa raccontare quando il silenzio si abbuia e le luci del pensiero diventano fari nelle distanze e la tempesta incombe.
Forse non ho abbastanza compreso l’intreccio delle sconfitte e la consapevolezza che il dolore convive nel crollo dell’armonia.
Le notti sono nere e sono bianche.
Nei miei occhi gli intrecci degli Orienti dialogano con una storia diventata inconsapevole in un Occidente smarrito.
Ho giocato a tirare frecce con l’arco di Ulisse, ma, pur riuscendo ad allungare la corda, ho colpito soltanto dune di sabbia e, a volte, nodi di acqua nel mare dei Mediterranei persi tra le infinite civiltà dimenticate.
Mi è venuta incontro la storia di Garcia e Sarashil e cerco di tracciare fili di parole illudendomi di custodire emozioni. Come si fa a custodire emozioni lungo le periferie del cuore…Sono lacerazioni che attraversano l’anima e tutto si fa vento dentro il cuore, tra i capelli, negli spazi delle dita… e scorrono le parole nella provvisorietà che diventa precarietà di un tempo immobile che ha la debolezza degli sguardi aperti sul nulla.
Non ho incontrato Garcia e neppure Sharashil, ma di Garcia mi restano, scritte su un quaderno, queste parole:
“Chiunque possa bussare al tuo sguardo non aprire… Io non sarò… Io ti abiterò l’anima senza aver bisogno di bussare… Ti camminerò dentro con il vento d’Occidente e tu mi custodirai con il tuo sesamo d’Oriente…”.
Parole incise non soltanto su un foglio bianco, ma dentro le pieghe di un petalo sigillato nella memoria e regalato a Sarashil.
Sarashil lo ha portato sempre con sé sino a compiere il suo viaggio nelle terre della Mecca.
Il tempo dilania ogni spigolo di ricordo e si fa lieve il giorno nell’attraversamento delle ore che hanno la singolarità della contemplazione. E di amore è fatto il destino di Sarashil che giunge alla Mecca avvolta nelle cinque preghiere ed è sempre accompagnata dalle cinque lune.
E di amore è fatto il passo di Garcia che dal suo Occidente ascolta i frammenti degli Orienti in un fraseggio di esistenze che danno senso e sono più di ogni senso nel volto degli orizzonti.
Cammino e le parole non sfuggono più.
Sui fogli del quaderno trovo la stessa frase di Garcia, ma in lingua latina e con una particolare lettura interpretativa.
Leggo:
“QUISQUIS PULSARE POTEST ASPECTUM TUUM NOLI APERIRE. EGO IPSE NON ERO: EGO IPSE INTUS HABITABO TE. PULSARE MIHI… NON OPUS EST. INTUS TE AMBULABO FAVONIO SECUNDO AC TU ORIENTIS TUO INDICO SESAMO ME CUSTODIES TU CUSTODIES ME”.
La notte è più notte della notte già vissuta e il Tempio delle preghiere è una piazza vuota. I predicatori hanno abbandonato le strade. Restano i Muezzin e hanno il capo coperto da un lungo scialle che cade sulle spalle.
La barba è folta e la recita smette il suo pianto.
Ora ricomincia un viaggio dal punto in cui ho nascosto la pietra d’Oriente e c’è un dio del Sole che penetra gli occhi nel sonno che Asmà e Shadi vivono in un cantico che è l’attesa del giorno che cade.
Anche io non dovrò aprire a chi bussa al mio sguardo?
Forse le parole di Garcia nel mio quaderno sono un segnale, un gioco di immagini, una verità o un oblio o forse sono altro nel peso degli anni che hanno il solco della dimenticanza.
Garcia ha smesso, però, di disegnare memorie e Sarashil sfoglia le pagine del vento.
Quisquis pulsare potest aspectum tuum noli aperire… Ma ci potrà bussare al mio sguardo? Chi potrà bussare allo sguardo dell’eterno finito?
Corrono le mani tra le parole, ma non c’è più storia in questa storia che ha il suono della ripetizione…
Forse non ho abbastanza compreso l’intreccio delle sconfitte e la consapevolezza che il dolore convive nel crollo dell’armonia.
Le notti sono nere e sono bianche.
Nei miei occhi gli intrecci degli Orienti dialogano con una storia diventata inconsapevole in un Occidente smarrito.
Ho giocato a tirare frecce con l’arco di Ulisse, ma, pur riuscendo ad allungare la corda, ho colpito soltanto dune di sabbia e, a volte, nodi di acqua nel mare dei Mediterranei persi tra le infinite civiltà dimenticate.
Mi è venuta incontro la storia di Garcia e Sarashil e cerco di tracciare fili di parole illudendomi di custodire emozioni. Come si fa a custodire emozioni lungo le periferie del cuore…Sono lacerazioni che attraversano l’anima e tutto si fa vento dentro il cuore, tra i capelli, negli spazi delle dita… e scorrono le parole nella provvisorietà che diventa precarietà di un tempo immobile che ha la debolezza degli sguardi aperti sul nulla.
Non ho incontrato Garcia e neppure Sharashil, ma di Garcia mi restano, scritte su un quaderno, queste parole:
“Chiunque possa bussare al tuo sguardo non aprire… Io non sarò… Io ti abiterò l’anima senza aver bisogno di bussare… Ti camminerò dentro con il vento d’Occidente e tu mi custodirai con il tuo sesamo d’Oriente…”.
Parole incise non soltanto su un foglio bianco, ma dentro le pieghe di un petalo sigillato nella memoria e regalato a Sarashil.
Sarashil lo ha portato sempre con sé sino a compiere il suo viaggio nelle terre della Mecca.
Il tempo dilania ogni spigolo di ricordo e si fa lieve il giorno nell’attraversamento delle ore che hanno la singolarità della contemplazione. E di amore è fatto il destino di Sarashil che giunge alla Mecca avvolta nelle cinque preghiere ed è sempre accompagnata dalle cinque lune.
E di amore è fatto il passo di Garcia che dal suo Occidente ascolta i frammenti degli Orienti in un fraseggio di esistenze che danno senso e sono più di ogni senso nel volto degli orizzonti.
Cammino e le parole non sfuggono più.
Sui fogli del quaderno trovo la stessa frase di Garcia, ma in lingua latina e con una particolare lettura interpretativa.
Leggo:
“QUISQUIS PULSARE POTEST ASPECTUM TUUM NOLI APERIRE. EGO IPSE NON ERO: EGO IPSE INTUS HABITABO TE. PULSARE MIHI… NON OPUS EST. INTUS TE AMBULABO FAVONIO SECUNDO AC TU ORIENTIS TUO INDICO SESAMO ME CUSTODIES TU CUSTODIES ME”.
La notte è più notte della notte già vissuta e il Tempio delle preghiere è una piazza vuota. I predicatori hanno abbandonato le strade. Restano i Muezzin e hanno il capo coperto da un lungo scialle che cade sulle spalle.
La barba è folta e la recita smette il suo pianto.
Ora ricomincia un viaggio dal punto in cui ho nascosto la pietra d’Oriente e c’è un dio del Sole che penetra gli occhi nel sonno che Asmà e Shadi vivono in un cantico che è l’attesa del giorno che cade.
Anche io non dovrò aprire a chi bussa al mio sguardo?
Forse le parole di Garcia nel mio quaderno sono un segnale, un gioco di immagini, una verità o un oblio o forse sono altro nel peso degli anni che hanno il solco della dimenticanza.
Garcia ha smesso, però, di disegnare memorie e Sarashil sfoglia le pagine del vento.
Quisquis pulsare potest aspectum tuum noli aperire… Ma ci potrà bussare al mio sguardo? Chi potrà bussare allo sguardo dell’eterno finito?
Corrono le mani tra le parole, ma non c’è più storia in questa storia che ha il suono della ripetizione…