Si
è padri e si è madri se si ha la dignità della
tradizione nella continuità
Sono stati anni che hanno segnato la vita. Generazioni di attraversamenti che hanno dato un senso e sono stati fari per orizzonti in una visione in cui la famiglia non è un concetto soltanto, ma un essere. Si è padri e si è madri se si resta figli, fino in fondo, nel segno non di un dovere, ma di una umanità, di una fratellanza, di un sangue e chi tradisce il sangue porta dentro la propria storia il fallimento di un essere stato, di un essere, di una testimonianza, di un esempio nel campo dei trenta danari.
Sono stati anni che hanno segnato la vita. Generazioni di attraversamenti che hanno dato un senso e sono stati fari per orizzonti in una visione in cui la famiglia non è un concetto soltanto, ma un essere. Si è padri e si è madri se si resta figli, fino in fondo, nel segno non di un dovere, ma di una umanità, di una fratellanza, di un sangue e chi tradisce il sangue porta dentro la propria storia il fallimento di un essere stato, di un essere, di una testimonianza, di un esempio nel campo dei trenta danari.
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Si è padri e si è madri se si ha la dignità la fierezza l’orgoglio e la saggezza della continuità nella tradizione dei valori e nel sangue che scorre tra le vene…
Io noi, nel destino dei cinque fratelli, percorriamo, sempre con gli occhi oltre gli orizzonti, questo viaggio… La continuità…
Bisogna dare sempre esempi.
Per sé e per i figli. In una famiglia quando si è madre e si è padre il vincolo è tra la generazione che ti ha generato e la generazione che tu hai generato.
Io, forte della lezione di mio padre, un padre che è stato un esempio e che non smette di solcare i miei passi, e sicuro della lezione di mia madre, che ha dedicato, testimoniandosi quotidianamente, una vita al donarsi e all’essere nel donarsi, porto con me solo la verità dei ricordi. E i ricordi sono voce…
Grandi ricordi, e qualche rimpianto per aver lacerato cocci di tempo inutili, invece di cogliere ricchezze di parole negli spazi dei camminamenti di mio padre, aquila tra le torri del castello, e di mia madre, danzatrice nel vento della mia infanzia. Ma loro, mio padre e mia madre, sono e restano il vissuto di una dignità che hanno eredito.
I cinque fratelli sono una storia e un destino.
Hanno raccontato l’intreccio di altre storie e di altri destini.
Adolfo con Teresa Fiore.
Mariano con Maria Notti.
Virgilio Italo con Maria Caracciolo.
Gino con Adalgisa Tricoci.
Pietro con Gabriella Inghilleri.
Hanno toccato città e porti. Altre famiglie e altri incontri. Ma la vita è fatta di porti, di incontri, di rispetto e di amore.
I cinque fratelli si sono sempre caratterizzati. Per rispetto, con amore. Per dignità, con lealtà. Per fedeltà, amando sempre la memoria di un incontro tra i Bruni e i Gaudinieri.
Nella verità della famiglia, mi hanno insegnato i cinque fratelli, c’è sempre la bellezza dell’onestà di essere famiglia.
Io li ho vissuti e non smetto di vivere ciò che mi hanno tramandato, perché ciò che mi hanno tramandato è la tradizione di un valore unico che io ho cercato di consegnare ai miei figli, nel rispetto che i nonni, i nonni dei miei figli, ma i nonni dei figli dei cinque fratelli per completare l’insieme dei sentieri delle vite, restano sempre dei riferimenti e che vanno amati dentro il cerchio magico della vita, che è storia ed è pensiero.
I nipoti che non rispettano i propri nonni, ho sempre sottolineato ai miei figli, non conoscono il legame di sangue, o rifiutano il legame, non conoscono l’essere famiglia e l’essere persona, non conoscono la vigilanza dell’amore, non conoscono la sacralità del dono, non conoscono il volo passeggero degli anni che si intaglia nel tempo della vita di ognuno di noi. Non solo non conoscono la dignità di essere in una tradizione di nomi e di cognomi, non sono loro stessi dignità.
Questo ho sempre detto ai miei figli. Parole non mie, ma che ha sempre sottolineato mio padre. Mio padre mi ha consegnato tutto ciò.
Il cammino dei Bruni Gaudinieri ha solcato la quotidianità e ha lasciato dune e larghe praterie lungo i passi del deserto e della speranza.
Ci sono le parole di nonno Ermete Francesco, ovvero di nonno Alfredo, che mi sottolineava sempre che occorre necessariamente guardare negli occhi le persone con le quali intrattieni un rapporto. E diceva che se quegli occhi cercano uno sguardo basso, incontrando altri occhi, sarebbe opportuno cambiare strade, perché non hanno lo stesso lignaggio, la stessa educazione, lo stesso singolare percorso dell’aquila.
E queste parole mi sono state riferite da mio padre che, consapevole delle sue origini, ha vissuto, a volte, silenzi belli e profondi, da zio Adolfo che ha coltivato la virtù della pazienza, da zio Mariano della cui nobiltà segnava la sua fierezza, da zio Gino che portava nel sorriso la dignità dell’eleganza, da zio Pietro che ha raccontato l’intreccio dell’aquila e del barocco.
Siamo figli di una tradizione che non ha mai smentito la tradizione dalla quale discendeva.
Guardate sempre negli occhi chi vi sta di fronte. Non serve guardare negli occhi chi vi sta accanto.
Ora si riposano. I cinque fratelli. Ma dormono sempre, come sempre è stato nella loro vita, un sonno leggero in una folata di vento tra i rami della palma.
Sono gli echi che accarezzano la foglia della conchiglia e gli echi ci parlano e non come se riportassero soltanto un passato e un vissuto.
Ci parlano perché sanno che nuovi camminamenti ci attendono e nuovi viaggi sono da percorrere. Ma la storia resta la storia in un destino che porta voci.
Mi dico spesso: ho amato e amo profondamente questa famiglia dalla quale, come i cinque fratelli, con fierezza, porto i segni e mai mi sorge il dubbio di non averla amata abbastanza.
Continuo ad amarla abbastanza nel rispetto, e conoscendo il bene e la dignità. Perché con orgoglio ho ascoltato quel vento, il vento che attraversa l’aquila tra i cieli della verità e della bellezza…
Sola la verità e la bellezza ci salveranno e la rosa rossa nel becco dell’aquila è un regno che ognuno di noi porta nell’anima.
So che mi ascolteranno.
Zio Adolfo, zio Mariano, papà Virgilio Italo, zio Gino, zio Pietro e dopo aver ascoltato le mie parole si incontreranno in un posto segreto e si ricorderanno un passaggio di generazioni che va dal 1912 al 1914, dal 1920 al 1924 al 1926…
Ancora numeri.
Aspetteranno le notti di dicembre per aprire le tombolate, come era nella mia, nella nostra, infanzia, o si inventeranno una nuova storia o nuove avventure navigando le acque dell’Esaro…
Già, si è padri e si è madri se si ha la dignità della tradizione nella continuità di una antica nobiltà…
Io noi, nel destino dei cinque fratelli, percorriamo, sempre con gli occhi oltre gli orizzonti, questo viaggio… La continuità…
Bisogna dare sempre esempi.
Per sé e per i figli. In una famiglia quando si è madre e si è padre il vincolo è tra la generazione che ti ha generato e la generazione che tu hai generato.
Io, forte della lezione di mio padre, un padre che è stato un esempio e che non smette di solcare i miei passi, e sicuro della lezione di mia madre, che ha dedicato, testimoniandosi quotidianamente, una vita al donarsi e all’essere nel donarsi, porto con me solo la verità dei ricordi. E i ricordi sono voce…
Grandi ricordi, e qualche rimpianto per aver lacerato cocci di tempo inutili, invece di cogliere ricchezze di parole negli spazi dei camminamenti di mio padre, aquila tra le torri del castello, e di mia madre, danzatrice nel vento della mia infanzia. Ma loro, mio padre e mia madre, sono e restano il vissuto di una dignità che hanno eredito.
I cinque fratelli sono una storia e un destino.
Hanno raccontato l’intreccio di altre storie e di altri destini.
Adolfo con Teresa Fiore.
Mariano con Maria Notti.
Virgilio Italo con Maria Caracciolo.
Gino con Adalgisa Tricoci.
Pietro con Gabriella Inghilleri.
Hanno toccato città e porti. Altre famiglie e altri incontri. Ma la vita è fatta di porti, di incontri, di rispetto e di amore.
I cinque fratelli si sono sempre caratterizzati. Per rispetto, con amore. Per dignità, con lealtà. Per fedeltà, amando sempre la memoria di un incontro tra i Bruni e i Gaudinieri.
Nella verità della famiglia, mi hanno insegnato i cinque fratelli, c’è sempre la bellezza dell’onestà di essere famiglia.
Io li ho vissuti e non smetto di vivere ciò che mi hanno tramandato, perché ciò che mi hanno tramandato è la tradizione di un valore unico che io ho cercato di consegnare ai miei figli, nel rispetto che i nonni, i nonni dei miei figli, ma i nonni dei figli dei cinque fratelli per completare l’insieme dei sentieri delle vite, restano sempre dei riferimenti e che vanno amati dentro il cerchio magico della vita, che è storia ed è pensiero.
I nipoti che non rispettano i propri nonni, ho sempre sottolineato ai miei figli, non conoscono il legame di sangue, o rifiutano il legame, non conoscono l’essere famiglia e l’essere persona, non conoscono la vigilanza dell’amore, non conoscono la sacralità del dono, non conoscono il volo passeggero degli anni che si intaglia nel tempo della vita di ognuno di noi. Non solo non conoscono la dignità di essere in una tradizione di nomi e di cognomi, non sono loro stessi dignità.
Questo ho sempre detto ai miei figli. Parole non mie, ma che ha sempre sottolineato mio padre. Mio padre mi ha consegnato tutto ciò.
Il cammino dei Bruni Gaudinieri ha solcato la quotidianità e ha lasciato dune e larghe praterie lungo i passi del deserto e della speranza.
Ci sono le parole di nonno Ermete Francesco, ovvero di nonno Alfredo, che mi sottolineava sempre che occorre necessariamente guardare negli occhi le persone con le quali intrattieni un rapporto. E diceva che se quegli occhi cercano uno sguardo basso, incontrando altri occhi, sarebbe opportuno cambiare strade, perché non hanno lo stesso lignaggio, la stessa educazione, lo stesso singolare percorso dell’aquila.
E queste parole mi sono state riferite da mio padre che, consapevole delle sue origini, ha vissuto, a volte, silenzi belli e profondi, da zio Adolfo che ha coltivato la virtù della pazienza, da zio Mariano della cui nobiltà segnava la sua fierezza, da zio Gino che portava nel sorriso la dignità dell’eleganza, da zio Pietro che ha raccontato l’intreccio dell’aquila e del barocco.
Siamo figli di una tradizione che non ha mai smentito la tradizione dalla quale discendeva.
Guardate sempre negli occhi chi vi sta di fronte. Non serve guardare negli occhi chi vi sta accanto.
Ora si riposano. I cinque fratelli. Ma dormono sempre, come sempre è stato nella loro vita, un sonno leggero in una folata di vento tra i rami della palma.
Sono gli echi che accarezzano la foglia della conchiglia e gli echi ci parlano e non come se riportassero soltanto un passato e un vissuto.
Ci parlano perché sanno che nuovi camminamenti ci attendono e nuovi viaggi sono da percorrere. Ma la storia resta la storia in un destino che porta voci.
Mi dico spesso: ho amato e amo profondamente questa famiglia dalla quale, come i cinque fratelli, con fierezza, porto i segni e mai mi sorge il dubbio di non averla amata abbastanza.
Continuo ad amarla abbastanza nel rispetto, e conoscendo il bene e la dignità. Perché con orgoglio ho ascoltato quel vento, il vento che attraversa l’aquila tra i cieli della verità e della bellezza…
Sola la verità e la bellezza ci salveranno e la rosa rossa nel becco dell’aquila è un regno che ognuno di noi porta nell’anima.
So che mi ascolteranno.
Zio Adolfo, zio Mariano, papà Virgilio Italo, zio Gino, zio Pietro e dopo aver ascoltato le mie parole si incontreranno in un posto segreto e si ricorderanno un passaggio di generazioni che va dal 1912 al 1914, dal 1920 al 1924 al 1926…
Ancora numeri.
Aspetteranno le notti di dicembre per aprire le tombolate, come era nella mia, nella nostra, infanzia, o si inventeranno una nuova storia o nuove avventure navigando le acque dell’Esaro…
Già, si è padri e si è madri se si ha la dignità della tradizione nella continuità di una antica nobiltà…