Nella vita
accoppiati sempre con chi è meglio di te e fanne le spese…
Mio nonno Alfredo mi diceva spesso “Prima di conoscere una persona devi sapere …nella vita accoppiati sempre con chi è meglio di te e fanne le spese…”.
Mio nonno recitava il rosario del silenzio e raccoglieva cocci di tempo che il vento non aveva portato via. Più volte mi sono chiesto perché nonno Alfredo lo chiamassero proprio Alfredo e non Ermete, come risulta in alcuni Atti.
Ho sempre saputo, comunque, questo fatto, ma mi è ripiombato addosso proprio l’altro ieri quando rivedevo il Libretto Personale di Valutazione dello stato fisico e della preparazione militare di mio padre risalente al 28 dicembre del 1938. Si chiamava Libretto della Gioventù Italiana del Littorio.
Nella prima pagina c’è il nome di mio padre e poi la scritta “figlio di Ermete Franc. e di Gaudinieri Giulia…”. Data di nascita di mio padre e comune. Il Libretto porta il numero 958.
Sono dettagli bizzarri, ma semplici e fanno capire come nei paesi il nome o i nomi hanno sempre un senso. Nella mia famiglia ognuno di noi ha almeno tre nomi. Il mio caso. Il mio vero nome non è, appunto, quello con il quale mi conoscono. Ho avuto sempre problemi perché mi sono sempre firmato non con il nome anagrafico, ma con il nome con il quale sono conosciuto e vengo chiamato. Questo è un altro fatto che ho scoperto tardi. Addirittura ho avuto problemi anche negli anni universitari quando firmavo gli statini. Ancora oggi i biglietti di aereo vengono compilati con il nome con il quale sono conosciuto e che risulta sottoscritto nei libri, ne miei articoli e riportato nelle conferenze, nei convegni e così via…
Allora. Mio nonno Alfredo. Ovvero nonno Ermete Franc.
Lo ricordo nelle sue passeggiate brevi. Con le mani sempre dietro la schiena. Osservava la piazza e gli spazi, ma nei suoi pensieri c’era il tempo attraversato.
Tutto è un attraversare. A oltre novant’anni aveva tutti i capelli. Un signore di un’altra epoca. Lo ricordo sempre sbarbato, con camicia, cravatta e un orologio da taschino.
Il nonno segnava l’ora e misurava i silenzi e le memorie. Più le rughe mi segmentano le mani e il viso e sempre più questa figura mi ritorna nello sguardo e non riesco a non abbinarlo ad un distinto signore sempre sobrio ed elegante che raccontava, anche nei suoi vestiti, un’altra età.
Un’età di passaggio che raccoglieva le eredità dell’Ottocento con tutto il Novecento.
Nonno Alfredo è morto nel 1979. Io ero già laureato.
La vita cammina e passa in un passaggio di nuvole, ombre e orizzonti e cambia il volto di tutti noi presenti di un tempo e in un tempo, ma restiamo, noi presenti, nel cuore e nell’anima, quelli che siamo sempre stati…
Quante case abbiamo abitato. Io tante e sono state dei ritagli ricamati sul palmo di una mano.
Mio nonno Alfredo poche volte si è mosse dalla sua grande casa di paese.
Ho un’immagine che costantemente mi ritorna.
Avevo l’età di un fanciullo che stava per frequentare l’ultimo anno delle Elementari. Sono stato un “primino”, ovvero a cinque anni già a scuola. Precoce in tutto.
Vengo colpito da una sepsi reumatica violenta. Visite specialistiche e appuntamento con il cardiologo.
Cosenza è sempre il nostro riferimento. Il nostro riferimento sono sempre zio Mariano e zia Maria. Sono stati loro a indicarci il percorso dei medici da consulatre.
Zia Maria era un nome “alto” nella Cosenza bene di quel tempo.
Sono stati loro a seguire anche questo mio percorso di malattia, non tanto breve ma risolto con grande efficacia.
Oltre questa cronaca, qual è l’immagine che mi ritorna?
La presenza di nonno Alfredo.
Appena seppe di questa mia malattia volle immediatamente essere presente nelle mie visite e venne a Cosenza con una macchina e l’autista. Un signore di altri tempi!
Sembrava un po’ scontroso, ma aveva grande lungimiranza.
Mi accompagnò in quella mia avventura e seguì passo dopo passo l’evolversi della malattia.
Venne a Cosenza nella casa di Viale del Re. Venne dal cardiologo e tornò con noi in paese ed io con lui mi sentivo sicuro perché dava sicurezza.
Così come mio padre che non si è mai arreso. Non arrendersi mai sino all’ultimo istante ed essere creativi sono a quando il fiammifero ad ogni respiro si spegne e quando il fiammifero resta acceso bisogna sempre recuperare il tempo del guerriero che continua a vivere nel nostro cuore.
Lo sguardo di nonno Alfredo era sempre attento, a volte ironico ma mai distratto.
In quella mia stagione seguì i miei passi con tenerezza…
Mi rimproverava spesso quando mi vedeva correre, sudato, sulla bicicletta di mio padre ricordandomi ciò che avevo avuto…
In quel tempo anche il tempo passava.
Un bel giorno, io ormai adulto e lui anziano, venne colpito da una emorragia cerebrale.
Non smetto di risentire, ancora oggi se chiudo gli occhi, come in un’eco, il suo rantolo in quelle ore tra l’infinito e il finito… Il resto è un’ombra che si affievolisce con il trascorrere dei giorni…
E sì, restano gli episodi di una vita, i dettagli, le avventure, ma tutto il resto scorre come foglie tra le acque del fiume…
Camminiamo lenti tra le albe e i crepuscoli. Tutti insieme. I cinque fratelli, nonno Alfredo e la nonna Giulia che non ho conosciuta.
Nel mio paese l’infanzia è stata un arcobaleno. Una striscia di cielo sul mare. Una coda di pavone dopo la pioggia. E con il solito vento nell’alba, che ha smarrito le dolcezze delle feste, le maschere di un carnevale nei rigidi inverni, la tenerezza delle primavere nel giallo delle margherite, e il tutto in una improvvisa fuga è svanito.
Ma il paese resta lì. Con la sua malinconia e con la mia nostalgia che si fa sempre più rara. Ho negli occhi il paese dei vicoli antichi, delle case basse, dei tetti con le tegole spioventi.
Quanti vissuti hanno vissuto i cinque fratelli tra le strade del paese? C’è sempre un paese dentro di me, come c’è stato sempre nei cinque fratelli, che si sbriciola in piccole immagini, ma questo paese è legato a tutto ciò che è stata la mia famiglia, quei “miei cari parenti” che restano come voce indelebile nella mia fedeltà alla storia di una eredità.
Tante piccoli immagini fanno una storia…
Ho negli occhi il paese dalle strade sgarrupate. Ho nel cuore i sentieri incantati di un racconto che si è fatto forse leggenda. E crescendo sono invecchiato con queste immagini che non vanno più via.
Anche loro, Adolfo, Mariano, Italo, Gino e Pietro hanno abitato il paese e lo hanno vissuto come l’ho vissuto io, come lo ha vissuto nonno Alfredo o nonna Giulia che era sempre la signora della casa che giungeva da Spezzano.
Il mio paese resta una metafora depositata nel mio cuore. Una metafora unica che stilla emozioni e mistero.
Zio Mariano chiedeva sempre di essere informato su avvenimenti e particolari che accadevano in paese. Anche a distanza di anni conosceva tutti in paese e tanti dovevano essergli devoti.
Zio Pietro aveva custodito grandi amicizie tra San Lorenzo e Spezzano Albanese.
Zio Gino, proprio per il lavoro che svolgeva, aveva costantemente rapporti con la sua comunità.
Adolfo e mio padre abitavano il paese senza però mai viverlo nei dettagli pur consapevoli di ciò che è stato il nostro paese da generazioni a generazioni…
Non li ho mai visti in piazza e mai dalla loro voce un commento…
Una nobiltà nelle idee che ha un cuore antico perché sono stati il cuore antico di famiglie intere in un paese che a volte ricorda a volte volutamente dimentica…
Ma tutto ha un senso.
Diceva mio nonno Alfredo: “Prima di conoscere una persona devi sapere. Prima di sapere devi approfondire. Prima di approfondire devi ricordare e non dimenticare, ma cercare di custodire il ricordo senza fartene vanto… Insomma, nella vita, accoppiati sempre con chi è meglio di te e fanne le spese…”.
Non smetto il mio camminare.
Le parole sono ormai diventate un rosario. Granello dopo granello mi riportano a quelle mie corse e tra i vicoli e le immagini ci sono foto sbiadite. In bianco e nero.
La mia casa di paese. Cosa ricordare? La casa del nonno…
Ma c’è bisogno di ricordare? Per noi che siamo impastati nella nostalgia e nella memoria il ricordare è un costante percorrere la vita. E percorriamo il tempo, il nostro tempo, in un paese che vorrei che restasse un sogno.
Non cerco più parole. Il paese è qui con me.
I filari dei vigneti, dalla “Chiusa” a “Serralto” per la vigna di Spezzano lungo la Nazionale, mi accompagnano in questo rincorrere il tempo nello spazio della memoria. Ma io so di essere altrove mentre tutto cambia. Se tutto cambia io dove resto e come resto?
So benissimo che tutto quello che era importante per me non ha lo stesso valore per le generazioni che sono venute dopo.
Resto tra i fili di mare che vanno da Sibari al Tirreno, dal Pollino alla Sila…
Mio nonno Alfredo resta un gigante con la camicia bianca a righe e la cravatta…
Mio padre sorregge un bimbo tra le acque di Ulisse…
Nonna Giulia guarda con occhi amorevole una bimba tenendola tra le braccia…
Zio Mariano ha lo sguardo sicuro e parole decise…
Zio Pietro sorridente tra zia Maria e mia madre e la bella Gabriella vestita da sposa…
Zio Gino ha la malinconia degli anni che non ritornano...
Mio nonno Alfredo mi diceva spesso “Prima di conoscere una persona devi sapere …nella vita accoppiati sempre con chi è meglio di te e fanne le spese…”.
Mio nonno recitava il rosario del silenzio e raccoglieva cocci di tempo che il vento non aveva portato via. Più volte mi sono chiesto perché nonno Alfredo lo chiamassero proprio Alfredo e non Ermete, come risulta in alcuni Atti.
Ho sempre saputo, comunque, questo fatto, ma mi è ripiombato addosso proprio l’altro ieri quando rivedevo il Libretto Personale di Valutazione dello stato fisico e della preparazione militare di mio padre risalente al 28 dicembre del 1938. Si chiamava Libretto della Gioventù Italiana del Littorio.
Nella prima pagina c’è il nome di mio padre e poi la scritta “figlio di Ermete Franc. e di Gaudinieri Giulia…”. Data di nascita di mio padre e comune. Il Libretto porta il numero 958.
Sono dettagli bizzarri, ma semplici e fanno capire come nei paesi il nome o i nomi hanno sempre un senso. Nella mia famiglia ognuno di noi ha almeno tre nomi. Il mio caso. Il mio vero nome non è, appunto, quello con il quale mi conoscono. Ho avuto sempre problemi perché mi sono sempre firmato non con il nome anagrafico, ma con il nome con il quale sono conosciuto e vengo chiamato. Questo è un altro fatto che ho scoperto tardi. Addirittura ho avuto problemi anche negli anni universitari quando firmavo gli statini. Ancora oggi i biglietti di aereo vengono compilati con il nome con il quale sono conosciuto e che risulta sottoscritto nei libri, ne miei articoli e riportato nelle conferenze, nei convegni e così via…
Allora. Mio nonno Alfredo. Ovvero nonno Ermete Franc.
Lo ricordo nelle sue passeggiate brevi. Con le mani sempre dietro la schiena. Osservava la piazza e gli spazi, ma nei suoi pensieri c’era il tempo attraversato.
Tutto è un attraversare. A oltre novant’anni aveva tutti i capelli. Un signore di un’altra epoca. Lo ricordo sempre sbarbato, con camicia, cravatta e un orologio da taschino.
Il nonno segnava l’ora e misurava i silenzi e le memorie. Più le rughe mi segmentano le mani e il viso e sempre più questa figura mi ritorna nello sguardo e non riesco a non abbinarlo ad un distinto signore sempre sobrio ed elegante che raccontava, anche nei suoi vestiti, un’altra età.
Un’età di passaggio che raccoglieva le eredità dell’Ottocento con tutto il Novecento.
Nonno Alfredo è morto nel 1979. Io ero già laureato.
La vita cammina e passa in un passaggio di nuvole, ombre e orizzonti e cambia il volto di tutti noi presenti di un tempo e in un tempo, ma restiamo, noi presenti, nel cuore e nell’anima, quelli che siamo sempre stati…
Quante case abbiamo abitato. Io tante e sono state dei ritagli ricamati sul palmo di una mano.
Mio nonno Alfredo poche volte si è mosse dalla sua grande casa di paese.
Ho un’immagine che costantemente mi ritorna.
Avevo l’età di un fanciullo che stava per frequentare l’ultimo anno delle Elementari. Sono stato un “primino”, ovvero a cinque anni già a scuola. Precoce in tutto.
Vengo colpito da una sepsi reumatica violenta. Visite specialistiche e appuntamento con il cardiologo.
Cosenza è sempre il nostro riferimento. Il nostro riferimento sono sempre zio Mariano e zia Maria. Sono stati loro a indicarci il percorso dei medici da consulatre.
Zia Maria era un nome “alto” nella Cosenza bene di quel tempo.
Sono stati loro a seguire anche questo mio percorso di malattia, non tanto breve ma risolto con grande efficacia.
Oltre questa cronaca, qual è l’immagine che mi ritorna?
La presenza di nonno Alfredo.
Appena seppe di questa mia malattia volle immediatamente essere presente nelle mie visite e venne a Cosenza con una macchina e l’autista. Un signore di altri tempi!
Sembrava un po’ scontroso, ma aveva grande lungimiranza.
Mi accompagnò in quella mia avventura e seguì passo dopo passo l’evolversi della malattia.
Venne a Cosenza nella casa di Viale del Re. Venne dal cardiologo e tornò con noi in paese ed io con lui mi sentivo sicuro perché dava sicurezza.
Così come mio padre che non si è mai arreso. Non arrendersi mai sino all’ultimo istante ed essere creativi sono a quando il fiammifero ad ogni respiro si spegne e quando il fiammifero resta acceso bisogna sempre recuperare il tempo del guerriero che continua a vivere nel nostro cuore.
Lo sguardo di nonno Alfredo era sempre attento, a volte ironico ma mai distratto.
In quella mia stagione seguì i miei passi con tenerezza…
Mi rimproverava spesso quando mi vedeva correre, sudato, sulla bicicletta di mio padre ricordandomi ciò che avevo avuto…
In quel tempo anche il tempo passava.
Un bel giorno, io ormai adulto e lui anziano, venne colpito da una emorragia cerebrale.
Non smetto di risentire, ancora oggi se chiudo gli occhi, come in un’eco, il suo rantolo in quelle ore tra l’infinito e il finito… Il resto è un’ombra che si affievolisce con il trascorrere dei giorni…
E sì, restano gli episodi di una vita, i dettagli, le avventure, ma tutto il resto scorre come foglie tra le acque del fiume…
Camminiamo lenti tra le albe e i crepuscoli. Tutti insieme. I cinque fratelli, nonno Alfredo e la nonna Giulia che non ho conosciuta.
Nel mio paese l’infanzia è stata un arcobaleno. Una striscia di cielo sul mare. Una coda di pavone dopo la pioggia. E con il solito vento nell’alba, che ha smarrito le dolcezze delle feste, le maschere di un carnevale nei rigidi inverni, la tenerezza delle primavere nel giallo delle margherite, e il tutto in una improvvisa fuga è svanito.
Ma il paese resta lì. Con la sua malinconia e con la mia nostalgia che si fa sempre più rara. Ho negli occhi il paese dei vicoli antichi, delle case basse, dei tetti con le tegole spioventi.
Quanti vissuti hanno vissuto i cinque fratelli tra le strade del paese? C’è sempre un paese dentro di me, come c’è stato sempre nei cinque fratelli, che si sbriciola in piccole immagini, ma questo paese è legato a tutto ciò che è stata la mia famiglia, quei “miei cari parenti” che restano come voce indelebile nella mia fedeltà alla storia di una eredità.
Tante piccoli immagini fanno una storia…
Ho negli occhi il paese dalle strade sgarrupate. Ho nel cuore i sentieri incantati di un racconto che si è fatto forse leggenda. E crescendo sono invecchiato con queste immagini che non vanno più via.
Anche loro, Adolfo, Mariano, Italo, Gino e Pietro hanno abitato il paese e lo hanno vissuto come l’ho vissuto io, come lo ha vissuto nonno Alfredo o nonna Giulia che era sempre la signora della casa che giungeva da Spezzano.
Il mio paese resta una metafora depositata nel mio cuore. Una metafora unica che stilla emozioni e mistero.
Zio Mariano chiedeva sempre di essere informato su avvenimenti e particolari che accadevano in paese. Anche a distanza di anni conosceva tutti in paese e tanti dovevano essergli devoti.
Zio Pietro aveva custodito grandi amicizie tra San Lorenzo e Spezzano Albanese.
Zio Gino, proprio per il lavoro che svolgeva, aveva costantemente rapporti con la sua comunità.
Adolfo e mio padre abitavano il paese senza però mai viverlo nei dettagli pur consapevoli di ciò che è stato il nostro paese da generazioni a generazioni…
Non li ho mai visti in piazza e mai dalla loro voce un commento…
Una nobiltà nelle idee che ha un cuore antico perché sono stati il cuore antico di famiglie intere in un paese che a volte ricorda a volte volutamente dimentica…
Ma tutto ha un senso.
Diceva mio nonno Alfredo: “Prima di conoscere una persona devi sapere. Prima di sapere devi approfondire. Prima di approfondire devi ricordare e non dimenticare, ma cercare di custodire il ricordo senza fartene vanto… Insomma, nella vita, accoppiati sempre con chi è meglio di te e fanne le spese…”.
Non smetto il mio camminare.
Le parole sono ormai diventate un rosario. Granello dopo granello mi riportano a quelle mie corse e tra i vicoli e le immagini ci sono foto sbiadite. In bianco e nero.
La mia casa di paese. Cosa ricordare? La casa del nonno…
Ma c’è bisogno di ricordare? Per noi che siamo impastati nella nostalgia e nella memoria il ricordare è un costante percorrere la vita. E percorriamo il tempo, il nostro tempo, in un paese che vorrei che restasse un sogno.
Non cerco più parole. Il paese è qui con me.
I filari dei vigneti, dalla “Chiusa” a “Serralto” per la vigna di Spezzano lungo la Nazionale, mi accompagnano in questo rincorrere il tempo nello spazio della memoria. Ma io so di essere altrove mentre tutto cambia. Se tutto cambia io dove resto e come resto?
So benissimo che tutto quello che era importante per me non ha lo stesso valore per le generazioni che sono venute dopo.
Resto tra i fili di mare che vanno da Sibari al Tirreno, dal Pollino alla Sila…
Mio nonno Alfredo resta un gigante con la camicia bianca a righe e la cravatta…
Mio padre sorregge un bimbo tra le acque di Ulisse…
Nonna Giulia guarda con occhi amorevole una bimba tenendola tra le braccia…
Zio Mariano ha lo sguardo sicuro e parole decise…
Zio Pietro sorridente tra zia Maria e mia madre e la bella Gabriella vestita da sposa…
Zio Gino ha la malinconia degli anni che non ritornano...