I nostri padri sono il viaggio che ha tracciato una stirpe.
Senza tempo nella nostra memoria ci camminano accanto
I giorni sempre camminano dentro di noi. Si lasciano ascoltare come se fossero voli di tempo in una memoria che tutto raccoglie. Non ho mai smesso di raccontare ai miei figli l’onestà della stirpe.
Noi siamo gli eredi di una stirpe. Le cui radici portano l’incontro di due mondi: quello Occidentale e quello Orientale. E siamo figli ed eredi di uomini che hanno portato nel cuore sempre il viaggio.
Le Americhe hanno segnato un passaggio che ha slegato ed unito una eredità. Ma quell’Oriente che ci portiamo dentro è un suono Balcano nei fili di un intrecciare storia e mistero. Ma per me resta centrale la geografia del paese.
Così come è rimasto fondamentale in mio padre, nei fratelli di mio padre, anche tra quelli che hanno lasciato il paese pur avendo tra le mani la terra e i cocci del paese.
Si sono portati dentro gli Oriente e il Mediterraneo. Teresa, donna Arbereshe, portava negli occhi il sorriso albanese.
Adalgisa la pazienza di Sibari e la parola con l’accento greco.
Mia madre lo sguardo delle donne di una terra nuova nella Magna Grecia danzante.
Maria il suono delle colline e delle città di fiumi tra il Crati e il Busento nello scorrere di una eleganza antica.
Gabriella l’Andalusia sarda e il Mediterraneo delle isole e delle donne con occhi penetranti.
Le nostre madri e i nostri padri. Siamo fatti delle nostre madri dei nostri padri e di paese che hanno un unico paese.
Ascolto gli echi di un'infanzia tra i vicoli del mio paese. Un paese che raccoglie e vive i paesaggi di un luogo nel linguaggio della quotidianità.
Questo mio paese, che è stato il paese di Adolfo, Mariano, Italo – Virgilio, Gino e Pietro, porta il nome del Santo arso sulla griglia. Un paese, un Santo, una notte di stelle. Conterò le stelle che cadono nella notte che mi regala la festa.
Ho lasciato secoli fa il mio paese, come Mariano, Gino, Pietro. Ma a volte è come se fossi rimasto sempre lì. A volte le metafore si intrecciano e occupano il nostro navigare. Non so perché questo distacco diventa, ogni anno che passa, sempre più pesante. È come se volessi ritornare, ma è anche come se volessi ripartire sempre.
Io ho avuto un paese. Io ho un paese. Loro hanno avuto un paese. Sono stati un paese. Nei miei sentieri continuano ad esserlo e a viverlo. Con me. Come me.
Il castello è orgoglioso delle sue avventure. Ci sono racconti che si trasformano in favola. Ma un paese nonostante tutto è un gioco di favole. Ricordo l'assolata piazza nei meriggi estivi. Le partite al pallone negli spazi dei rioni che si sfidavano. Forse per riportare sulla scena un sentire antico.
“I paesi in fondo sono il raccogliere il vissuto dei rioni in una emozione comune”. Spesso sia zio Gino che zio Mariano mi dicevano ciò.
C’erano non tanto tempo fa le palme del mio giardino. Una è andata via annunciando la morte di mio padre nel dicembre di un anno incancellabile. È rimasta soltanto
quella alta, antica e magra e ha le cime, in alto, che superano la casa e sembrano ritagli di bandiere. Non ci sono più, io, in quel giardino a raccogliere la passione delle battaglie navali. Non c’è più mio padre.
Quanti ponti ho aperto e quanti se ne sono chiusi in quel cerchio d'acqua del mio giardino. Il tempo è una meteora ma anche una metafora.
San Lorenzo, io so perché…
I cinque fratelli restano il racconto della mia stirpe. Della nostra stirpe… Noi Bruni e Gaudinieri…
C'è un alone greco che colora le memorie del mio paese.
Come ha sempre colorato quello di nonno Alfredo, ovvero Ermete Francesco, e di nonna Giulia, la donna Arbereshe che ha dato il senso dell’Oriente alla nostra stirpe.
Ma il mio paese ha radici greche. Un tempo era tutto greco e romano. Anche nel mio paese, che ha ospitato i primi albanesi, c'era un tempo in cui la vita era tutta greca. Ed è proprio in Via Carmelitani, la strada dove io sono nato e dove ho abitato la mia infanzia, che hanno ritrovato delle Arule arcaiche e delle monete repubblicane romane.
Qui i greci e romani non sono passati invano. Ci sono parole ancora oggi che hanno un ritmo, una cadenza, uno stilema greco.
Tutto è andato via? Tutto si ripete nel rito. Ivestiti della festa. Le passeggiate serali. La fiera. La messa. Le strade di luci. La piazza affollata. Ma questo paese è antico. È più antico del castello. Sarebbe bello ritornare a viverlo intensamente. Con i ricordi, ma anche con la passione di starci dentro e pensare di costruire un futuro.
Far rivivere le sue strade, riordinare i viaggi della memoria, riconquistare i miti abbandonati, ritrovare il paesaggio: quel paesaggio che lega il paese e le contrade, dare senso ai linguaggi che sono dentro la storia, impossessarsi dei luoghi: Fedula e il suo territorio, impossessarsi degli spazi che recitano appartenenza: il Castello, Torre Gentilino, le Fontane, la Piazza, i Rioni, recuperare l'abbandonato sommerso che è dentro le pieghe e del paese.
Loro ci sono…
Ho passeggiato in un assolato pomeriggio di luglio tra i viali del cimitero. Ci sono storie e destini che ritornano. Ho riletto il battuto dei passi di San Lorenzo.
Mi capita spesso quando tocco quelle strade, ed è una cosa piacevole, penetrare il buio dei vicoli.
Quando mi trovo al paese, di notte, percorre alcune strade. Vi ritrovo un sentore antico di quando non avvertivo il bussare dell'età.
È bello il paese nelle notti di vento. È bello assistere al trapasso delle stagioni. Era bello, dalle mie parti, tuffarsi nel paesaggio della campagna e lasciarsi andare nel dondolio dei suoni.
San Lorenzo del Vallo ha un castello. I castelli fanno di un paese una roccaforte. Sembra sospeso tra le basse case e il verde coperto di terriccio. È un angolo della mia infanzia e ci sono segreti che raccolgono misteri e ansie. Segreti che giungono da lontano. Dagli scavi del tempo.
Troneggia questo castello.
La Calabria è Magna Grecia e castelli nel lungo viaggio che ci porta ad attraversare le epoche e le civiltà. E questo Sud che racconta contadini e mare è un antico vento nelle brughiere delle stagioni. E ci si perde nelle stagioni.
Nelle stagioni che fanno festa.
Nelle stagioni che sono fogli di un libro non ancora impaginato.
Sempre con me camminano. Mio padre, Adolfo, Mariano, Gino, Pietro. E hanno un senso e danno un senso al destino di una stirpe.Il nostro paese è fatto di altri paesi. Di paesi che si rincorrono. Di paesi che recitano una uguale storia nei paesaggi dell’attesa. Ma l’attesa è la metafora che percorre in tutto l’immaginario di un viaggio.
In ciò Adolfo, Mariano, mio padre, Gino e Pietro sono presenti. C’è un’assenza nei luglio ma c’è una presenza nel gioco inesorabile tra ricordi e memoria.
L’immaginario che si tuffa nella memoria.
Andare, tornare, riconciliarsi con la storia. Forse tutti abbiamo bisogno di riconciliarci con la storia.
Mi diceva zio Pietro in un giorno di inverno, l’ultima volta che venne in paese, che “Un paese è sempre un castello. Ma un paese che ha un castello è castello due volte”.
Il castello di San Lorenzo del Vallo apparteneva alla famiglia Alarcon della Valle Mendoza. Il castello nella sua complessità era una fortificazione dai toni residenziali. A pianta quadrata, le quattro torri presentavano altre torrette con merlatura a coda di rondine o ghibellina.
La Spagna è passata tra questi luoghi…
La luna cade sui tramonti. Foglie d’erba nello spazio della serranda. Giorni dopo giorni. Un paese e un castello. Non hanno due storie diverse. In questa pezzo di Calabria dall’azzurro mare e dai monti a piramide la storia è sempre un intreccio di avventure.
San Lorenzo è un'àncora nel porto della mia coscienza. O forse è ancora quella eco della mia conchiglia che porto sempre con me. Ma la conchiglia ha echi.
Io cercatore di conchiglie ascolto le voci diventate echi.
Le voci di mio padre, zio Mariano, Zio Gino, zio Adolfo, zio Pietro e rivedo come, in un sogno, la presenza di nonno Alfredo.
Tutto ha un senso tra i Bruni – Gaudinieri. In un paese, in una storia che diventa le storie, in una civiltà…
Il mio passeggiare tra i viali dei cipressi…
Dopo le partenze ci si ritrova.
Nelle ore dell’agonia, mio padre ha chiamato per nome tutti i suoi fratelli…
L’ho ascoltato… Ma il tempo è un indefinibile viaggio…
Ora sono senza tempo nella memoria che vive dentro di noi…
Una stirpe e generazioni che si intrecciano…
I nostri padri ci camminano accanto…
Senza tempo nella nostra memoria ci camminano accanto
I giorni sempre camminano dentro di noi. Si lasciano ascoltare come se fossero voli di tempo in una memoria che tutto raccoglie. Non ho mai smesso di raccontare ai miei figli l’onestà della stirpe.
Noi siamo gli eredi di una stirpe. Le cui radici portano l’incontro di due mondi: quello Occidentale e quello Orientale. E siamo figli ed eredi di uomini che hanno portato nel cuore sempre il viaggio.
Le Americhe hanno segnato un passaggio che ha slegato ed unito una eredità. Ma quell’Oriente che ci portiamo dentro è un suono Balcano nei fili di un intrecciare storia e mistero. Ma per me resta centrale la geografia del paese.
Così come è rimasto fondamentale in mio padre, nei fratelli di mio padre, anche tra quelli che hanno lasciato il paese pur avendo tra le mani la terra e i cocci del paese.
Si sono portati dentro gli Oriente e il Mediterraneo. Teresa, donna Arbereshe, portava negli occhi il sorriso albanese.
Adalgisa la pazienza di Sibari e la parola con l’accento greco.
Mia madre lo sguardo delle donne di una terra nuova nella Magna Grecia danzante.
Maria il suono delle colline e delle città di fiumi tra il Crati e il Busento nello scorrere di una eleganza antica.
Gabriella l’Andalusia sarda e il Mediterraneo delle isole e delle donne con occhi penetranti.
Le nostre madri e i nostri padri. Siamo fatti delle nostre madri dei nostri padri e di paese che hanno un unico paese.
Ascolto gli echi di un'infanzia tra i vicoli del mio paese. Un paese che raccoglie e vive i paesaggi di un luogo nel linguaggio della quotidianità.
Questo mio paese, che è stato il paese di Adolfo, Mariano, Italo – Virgilio, Gino e Pietro, porta il nome del Santo arso sulla griglia. Un paese, un Santo, una notte di stelle. Conterò le stelle che cadono nella notte che mi regala la festa.
Ho lasciato secoli fa il mio paese, come Mariano, Gino, Pietro. Ma a volte è come se fossi rimasto sempre lì. A volte le metafore si intrecciano e occupano il nostro navigare. Non so perché questo distacco diventa, ogni anno che passa, sempre più pesante. È come se volessi ritornare, ma è anche come se volessi ripartire sempre.
Io ho avuto un paese. Io ho un paese. Loro hanno avuto un paese. Sono stati un paese. Nei miei sentieri continuano ad esserlo e a viverlo. Con me. Come me.
Il castello è orgoglioso delle sue avventure. Ci sono racconti che si trasformano in favola. Ma un paese nonostante tutto è un gioco di favole. Ricordo l'assolata piazza nei meriggi estivi. Le partite al pallone negli spazi dei rioni che si sfidavano. Forse per riportare sulla scena un sentire antico.
“I paesi in fondo sono il raccogliere il vissuto dei rioni in una emozione comune”. Spesso sia zio Gino che zio Mariano mi dicevano ciò.
C’erano non tanto tempo fa le palme del mio giardino. Una è andata via annunciando la morte di mio padre nel dicembre di un anno incancellabile. È rimasta soltanto
quella alta, antica e magra e ha le cime, in alto, che superano la casa e sembrano ritagli di bandiere. Non ci sono più, io, in quel giardino a raccogliere la passione delle battaglie navali. Non c’è più mio padre.
Quanti ponti ho aperto e quanti se ne sono chiusi in quel cerchio d'acqua del mio giardino. Il tempo è una meteora ma anche una metafora.
San Lorenzo, io so perché…
I cinque fratelli restano il racconto della mia stirpe. Della nostra stirpe… Noi Bruni e Gaudinieri…
C'è un alone greco che colora le memorie del mio paese.
Come ha sempre colorato quello di nonno Alfredo, ovvero Ermete Francesco, e di nonna Giulia, la donna Arbereshe che ha dato il senso dell’Oriente alla nostra stirpe.
Ma il mio paese ha radici greche. Un tempo era tutto greco e romano. Anche nel mio paese, che ha ospitato i primi albanesi, c'era un tempo in cui la vita era tutta greca. Ed è proprio in Via Carmelitani, la strada dove io sono nato e dove ho abitato la mia infanzia, che hanno ritrovato delle Arule arcaiche e delle monete repubblicane romane.
Qui i greci e romani non sono passati invano. Ci sono parole ancora oggi che hanno un ritmo, una cadenza, uno stilema greco.
Tutto è andato via? Tutto si ripete nel rito. Ivestiti della festa. Le passeggiate serali. La fiera. La messa. Le strade di luci. La piazza affollata. Ma questo paese è antico. È più antico del castello. Sarebbe bello ritornare a viverlo intensamente. Con i ricordi, ma anche con la passione di starci dentro e pensare di costruire un futuro.
Far rivivere le sue strade, riordinare i viaggi della memoria, riconquistare i miti abbandonati, ritrovare il paesaggio: quel paesaggio che lega il paese e le contrade, dare senso ai linguaggi che sono dentro la storia, impossessarsi dei luoghi: Fedula e il suo territorio, impossessarsi degli spazi che recitano appartenenza: il Castello, Torre Gentilino, le Fontane, la Piazza, i Rioni, recuperare l'abbandonato sommerso che è dentro le pieghe e del paese.
Loro ci sono…
Ho passeggiato in un assolato pomeriggio di luglio tra i viali del cimitero. Ci sono storie e destini che ritornano. Ho riletto il battuto dei passi di San Lorenzo.
Mi capita spesso quando tocco quelle strade, ed è una cosa piacevole, penetrare il buio dei vicoli.
Quando mi trovo al paese, di notte, percorre alcune strade. Vi ritrovo un sentore antico di quando non avvertivo il bussare dell'età.
È bello il paese nelle notti di vento. È bello assistere al trapasso delle stagioni. Era bello, dalle mie parti, tuffarsi nel paesaggio della campagna e lasciarsi andare nel dondolio dei suoni.
San Lorenzo del Vallo ha un castello. I castelli fanno di un paese una roccaforte. Sembra sospeso tra le basse case e il verde coperto di terriccio. È un angolo della mia infanzia e ci sono segreti che raccolgono misteri e ansie. Segreti che giungono da lontano. Dagli scavi del tempo.
Troneggia questo castello.
La Calabria è Magna Grecia e castelli nel lungo viaggio che ci porta ad attraversare le epoche e le civiltà. E questo Sud che racconta contadini e mare è un antico vento nelle brughiere delle stagioni. E ci si perde nelle stagioni.
Nelle stagioni che fanno festa.
Nelle stagioni che sono fogli di un libro non ancora impaginato.
Sempre con me camminano. Mio padre, Adolfo, Mariano, Gino, Pietro. E hanno un senso e danno un senso al destino di una stirpe.Il nostro paese è fatto di altri paesi. Di paesi che si rincorrono. Di paesi che recitano una uguale storia nei paesaggi dell’attesa. Ma l’attesa è la metafora che percorre in tutto l’immaginario di un viaggio.
In ciò Adolfo, Mariano, mio padre, Gino e Pietro sono presenti. C’è un’assenza nei luglio ma c’è una presenza nel gioco inesorabile tra ricordi e memoria.
L’immaginario che si tuffa nella memoria.
Andare, tornare, riconciliarsi con la storia. Forse tutti abbiamo bisogno di riconciliarci con la storia.
Mi diceva zio Pietro in un giorno di inverno, l’ultima volta che venne in paese, che “Un paese è sempre un castello. Ma un paese che ha un castello è castello due volte”.
Il castello di San Lorenzo del Vallo apparteneva alla famiglia Alarcon della Valle Mendoza. Il castello nella sua complessità era una fortificazione dai toni residenziali. A pianta quadrata, le quattro torri presentavano altre torrette con merlatura a coda di rondine o ghibellina.
La Spagna è passata tra questi luoghi…
La luna cade sui tramonti. Foglie d’erba nello spazio della serranda. Giorni dopo giorni. Un paese e un castello. Non hanno due storie diverse. In questa pezzo di Calabria dall’azzurro mare e dai monti a piramide la storia è sempre un intreccio di avventure.
San Lorenzo è un'àncora nel porto della mia coscienza. O forse è ancora quella eco della mia conchiglia che porto sempre con me. Ma la conchiglia ha echi.
Io cercatore di conchiglie ascolto le voci diventate echi.
Le voci di mio padre, zio Mariano, Zio Gino, zio Adolfo, zio Pietro e rivedo come, in un sogno, la presenza di nonno Alfredo.
Tutto ha un senso tra i Bruni – Gaudinieri. In un paese, in una storia che diventa le storie, in una civiltà…
Il mio passeggiare tra i viali dei cipressi…
Dopo le partenze ci si ritrova.
Nelle ore dell’agonia, mio padre ha chiamato per nome tutti i suoi fratelli…
L’ho ascoltato… Ma il tempo è un indefinibile viaggio…
Ora sono senza tempo nella memoria che vive dentro di noi…
Una stirpe e generazioni che si intrecciano…
I nostri padri ci camminano accanto…