Zio
Pietro mi ha raccontato una leggenda e
so che la storia ha bisogno della magia
È probabile che la storia possa vivere senza aver bisogno dei documenti. E quando non si ha bisogno di documenti è la vita che traccia il cammino e il destino si raccoglie nell’ascolto…
Un giorno, io forse ero molto piccolo ma non tanto da dimenticare, non ricordo l’età, zio Pietro, arrivando da Capoterra, dalla Sardegna che intreccia i mari dei Tirreni e del Mediterranei, mi raccontò una storia o forse una leggenda o una favola…
Mi parlò a lungo senza mai guardare l’orologio e così cominciò e andò avanti senza che io potessi mai interromperlo…
Allora…
È probabile che la storia possa vivere senza aver bisogno dei documenti. E quando non si ha bisogno di documenti è la vita che traccia il cammino e il destino si raccoglie nell’ascolto…
Un giorno, io forse ero molto piccolo ma non tanto da dimenticare, non ricordo l’età, zio Pietro, arrivando da Capoterra, dalla Sardegna che intreccia i mari dei Tirreni e del Mediterranei, mi raccontò una storia o forse una leggenda o una favola…
Mi parlò a lungo senza mai guardare l’orologio e così cominciò e andò avanti senza che io potessi mai interromperlo…
Allora…
È sempre necessario affidarsi al mistero per interpretare l'invisibile che le parole mascherano. E l'invisibile c'è e resta invisibile. C'è dentro la nostra percettibile capacità di essere impeccabili.
Spesso mi diceva così il mio amico Alarcon De La Valle. Il mio unico e vero amico. Conosciuto negli anni Settanta in un città che aveva l'odore di un Oriente sbarcato tra le rive dell'Occidente cristiano.
Un amico che aveva come stile la profondità dello sguardo e come cammino il silenzio della pazienza. Scriveva, ma per Alarcon la scrittura era un vizio, come per Pavese, a volte assurdo a volte diventava un vero e proprio mestiere. Ma la scrittura, nella sua scrittura, era un gioco. Giocare con le parole e soprattutto con i personaggi era il suo viaggiare tra le epoche servendosi dei documenti ma soprattutto dell'anima, del cuore e della percezione del limite tra spazio e sublime.
Mi raccontò del destino di una monaca dei Carmelitani.
Alarcon, dimentico di dirlo, era un principe ma il suo principato era tra le terre della Magna Grecia. Nei luoghi di Pitagora e tra le donne che sapevano amare nell'eros della bellezza dei sibariti. Un principe della contea del lusso dei sibariti.
Allora, la monaca dei Carmelitani.
Era una giovane donna. Dagli occhi intensi. Verdi e neri. Verdi come il mare di Tunisi. E neri come le olive delle campagne della Magna Grecia. Giunse, così mi disse Alarcon, in un presto mattino dalle luci con scintille antelucane, in un paese del Sud chiamato Lorenzo delle Grazie.
Questo paese, che era stato abitato anche da Alarcon, aveva un convento chiamato delle Carmelitane dai piedi nudi (perché non Carmelitane scalze?).
Venne mandata in questo paese dalla lontana Siviglia. Quasi in esilio. Perché lì avevano scoperto che, di notte, usciva dalla Casa Generalizia e si incontrava, in segreto, con il francescano Pier De La Luna.
Si era in un tempo di inquisizioni e la Spagna possedeva tutte le chiavi delle parole misteriose per inquisire nei tribunali del dubbio.
Arrivò al convento di Lorenzo delle Grazie e si fece assegnare una celletta che non aveva finestre e chiese semplicemente dei fogli e del materiale per potervi scrivere.
Accettò l'esilio per lunghi anni e quando morì trovarono la cella piena di fogli, tutti scritti di storie. Fogli sparsi e senza essere numerati. Una scrittura sottile e, a volte, indecifrabile.
Questi fogli sono stati studiati per molti anni da Alarcon, il quale interpretò un misterioso dialogo tra la monaca e Pier De La luna, che dopo la sua partenza aveva fatto perdere le tracce.
Alarcon mi disse che, in sogno, comunicavano e si parlavano e tutto ciò che era scritto nelle pagine della Carmelitana dai piedi nudi, in esilio nella cella del convento, aveva qualcosa di magico, perché accanto ad ogni parola c'era un segno, un simbolo, una foglia di rosa. Tanto che la monaca venne chiamata, dopo la sua morte, la monaca dalle foglie di rosa.
È rimasto tutto un mistero. Ma dal giorno in cui la monaca morì il convento venne chiuso e nessuno vi abitò più. Tutte le altre monache vennero trasferite.
Furono scritti libri di storia sul convento e sulla monaca riportando documenti e bibliografie. Alarcon mi disse soltanto che la monaca carmelitana, venuta da Siviglia, si chiamava Fatima.
In una piccola frazione del paese è sorta, dopo tanto tempo, una chiesa che è stata denominata Chiesa della Madonna di Fatima.
Nella sua cella venne trovato anche un rosario e su ogni grano c'era un segno, un inciso, un graffio.
Nella mano destra, stretta, conservava un petalo di rosa. Un petalo rosso di una rosa rossa. Era rimasto soltanto il petalo. La rosa era stata rapita da un’aquila.
L’aquila con la rosa rossa nel becco vola i cieli dell’Oriente e dell’Occidente.
Alarcon, raccontandomi, questo destino mi disse anche che tra il convento e il castello c'era un passaggio sotterraneo che partiva proprio dalla cella della monaca e conduceva in una stanza del castello.
Studiando la stanza del castello Alarcon trovò anche lì, in un angolo, un petalo di una rosa rossa. Nessuno seppe che in quella stanza del castello venne trovato morto Pier De La Luna.
Tutta questa storia è una storia vera come è vera la verità che viene raccontata con la fantasia e con il gioco inevitabile del mistero. Il silenzio può prendere il sopravvento, ma c’è sempre una rivelazione che va oltre il mistero.
Nel paese di Lorenzo delle Grazie c'è un castello e ci sono i resti di un convento, ma anche i resti di una abitazione abitata dalle Carmelitane dai piedi nudi, ma nessuno ha mai saputo del passaggio segreto e neppure del petalo di rosa rossa trovato nella stanza del castello.
Fu una storia d'amore? Fu una storia vera? Il mistero è nella fantasia e la fantasia è il viaggio della salvezza…
Il principe Alarcon mi ha lasciato una bella e affascinante eredità che è quella di scoprire il resto della storia e di rivelarla soltanto ai miei figli, con la promessa che loro dovranno rivelarla soltanto ai loro figli e così via di seguito…
Alarcon non so dove sia finito.
Forse ha lasciato la città dai colori d'Oriente nell'Occidente cristiano per recarsi a Siviglia o è ritornato ad abitare il suo castello nel paese della Magna Grecia, dove le donne hanno la bellezza della terra dopo la pioggia e lo sguardo del mare dopo le tempeste. Non so. L'ho cercato. Ma non ho avuto notizie.
Quello che posso dire soltanto è che Alarcon è un personaggio reale, la monaca Carmelitana è morta nella cella del convento e Pier De La Luna ha abitato una stanza del castello.
Il petalo della rosa rossa non è la storia della rosa scarlatta. O una diversa storia…
I simboli sono più delle parole.
La leggenda finisce qui.
Ma qui comincia una nuova avventura che si perde proprio nel momento in cui abbiamo bisogno di testimoniarla con i documenti.
Alarcon mi ha detto ancora prima di far perdere le sue tracce: "Amico mio, quando cominci con la ragione a voler dare senso alle storie il tuo viaggio finisce. Non chiedere mai spiegazioni a ciò che reputi impossibile. Non stupirti se il miraggio del segreto insiste nel restare segreto. Non infilare mai il dito nel silenzio del mistero, pensando di dare voce ad una storia che non ha bisogno di diventare storia.
La magia, amico mio, sta proprio qui. Gioca sempre con l'alchimia che ti vive dal di dentro. Non tentare di capirla. Fermati prima che lo specchio possa infrangersi e coprirti di ferite. La bellezza dura se la custodisce. E tu, amico mio, custodisci la bellezza sempre, con il silenzio. Agli storici regala un sorriso. A te stesso il sogno. Così vivi tutto ciò che ti ho raccontato con il sogno. Il resto non ha importanza".
Finisce qui il viaggio di Alarcon nei miei pensieri.
Caro amico mio, caro principe, così tu vuoi ed io non ti cercherò.
Custodirò tutto ciò che mi hai raccontato nel sogno del mio cuore. Poi se accadrà altro dipende dai fili dell'alchimia, che hai lasciato lungo le strade della magia.
Se questa storia è inventata basta considerarla con beneficio di inventario e ogni riferimento è puramente letterario.
Se, invece, ha preso il sopravvento la fantasia nel mistero ogni fatto è puramente casuale.
Che dire di più?
Ma dove è finito Alarcon?
Non bisogna chiedere. Mai. Le risposte arriveranno. Ma non bisogna mai cercarle. Come non si cercano le aquile.
Un giorno arriverà un’aquila e ti porterà una rosa…
Spesso mi diceva così il mio amico Alarcon De La Valle. Il mio unico e vero amico. Conosciuto negli anni Settanta in un città che aveva l'odore di un Oriente sbarcato tra le rive dell'Occidente cristiano.
Un amico che aveva come stile la profondità dello sguardo e come cammino il silenzio della pazienza. Scriveva, ma per Alarcon la scrittura era un vizio, come per Pavese, a volte assurdo a volte diventava un vero e proprio mestiere. Ma la scrittura, nella sua scrittura, era un gioco. Giocare con le parole e soprattutto con i personaggi era il suo viaggiare tra le epoche servendosi dei documenti ma soprattutto dell'anima, del cuore e della percezione del limite tra spazio e sublime.
Mi raccontò del destino di una monaca dei Carmelitani.
Alarcon, dimentico di dirlo, era un principe ma il suo principato era tra le terre della Magna Grecia. Nei luoghi di Pitagora e tra le donne che sapevano amare nell'eros della bellezza dei sibariti. Un principe della contea del lusso dei sibariti.
Allora, la monaca dei Carmelitani.
Era una giovane donna. Dagli occhi intensi. Verdi e neri. Verdi come il mare di Tunisi. E neri come le olive delle campagne della Magna Grecia. Giunse, così mi disse Alarcon, in un presto mattino dalle luci con scintille antelucane, in un paese del Sud chiamato Lorenzo delle Grazie.
Questo paese, che era stato abitato anche da Alarcon, aveva un convento chiamato delle Carmelitane dai piedi nudi (perché non Carmelitane scalze?).
Venne mandata in questo paese dalla lontana Siviglia. Quasi in esilio. Perché lì avevano scoperto che, di notte, usciva dalla Casa Generalizia e si incontrava, in segreto, con il francescano Pier De La Luna.
Si era in un tempo di inquisizioni e la Spagna possedeva tutte le chiavi delle parole misteriose per inquisire nei tribunali del dubbio.
Arrivò al convento di Lorenzo delle Grazie e si fece assegnare una celletta che non aveva finestre e chiese semplicemente dei fogli e del materiale per potervi scrivere.
Accettò l'esilio per lunghi anni e quando morì trovarono la cella piena di fogli, tutti scritti di storie. Fogli sparsi e senza essere numerati. Una scrittura sottile e, a volte, indecifrabile.
Questi fogli sono stati studiati per molti anni da Alarcon, il quale interpretò un misterioso dialogo tra la monaca e Pier De La luna, che dopo la sua partenza aveva fatto perdere le tracce.
Alarcon mi disse che, in sogno, comunicavano e si parlavano e tutto ciò che era scritto nelle pagine della Carmelitana dai piedi nudi, in esilio nella cella del convento, aveva qualcosa di magico, perché accanto ad ogni parola c'era un segno, un simbolo, una foglia di rosa. Tanto che la monaca venne chiamata, dopo la sua morte, la monaca dalle foglie di rosa.
È rimasto tutto un mistero. Ma dal giorno in cui la monaca morì il convento venne chiuso e nessuno vi abitò più. Tutte le altre monache vennero trasferite.
Furono scritti libri di storia sul convento e sulla monaca riportando documenti e bibliografie. Alarcon mi disse soltanto che la monaca carmelitana, venuta da Siviglia, si chiamava Fatima.
In una piccola frazione del paese è sorta, dopo tanto tempo, una chiesa che è stata denominata Chiesa della Madonna di Fatima.
Nella sua cella venne trovato anche un rosario e su ogni grano c'era un segno, un inciso, un graffio.
Nella mano destra, stretta, conservava un petalo di rosa. Un petalo rosso di una rosa rossa. Era rimasto soltanto il petalo. La rosa era stata rapita da un’aquila.
L’aquila con la rosa rossa nel becco vola i cieli dell’Oriente e dell’Occidente.
Alarcon, raccontandomi, questo destino mi disse anche che tra il convento e il castello c'era un passaggio sotterraneo che partiva proprio dalla cella della monaca e conduceva in una stanza del castello.
Studiando la stanza del castello Alarcon trovò anche lì, in un angolo, un petalo di una rosa rossa. Nessuno seppe che in quella stanza del castello venne trovato morto Pier De La Luna.
Tutta questa storia è una storia vera come è vera la verità che viene raccontata con la fantasia e con il gioco inevitabile del mistero. Il silenzio può prendere il sopravvento, ma c’è sempre una rivelazione che va oltre il mistero.
Nel paese di Lorenzo delle Grazie c'è un castello e ci sono i resti di un convento, ma anche i resti di una abitazione abitata dalle Carmelitane dai piedi nudi, ma nessuno ha mai saputo del passaggio segreto e neppure del petalo di rosa rossa trovato nella stanza del castello.
Fu una storia d'amore? Fu una storia vera? Il mistero è nella fantasia e la fantasia è il viaggio della salvezza…
Il principe Alarcon mi ha lasciato una bella e affascinante eredità che è quella di scoprire il resto della storia e di rivelarla soltanto ai miei figli, con la promessa che loro dovranno rivelarla soltanto ai loro figli e così via di seguito…
Alarcon non so dove sia finito.
Forse ha lasciato la città dai colori d'Oriente nell'Occidente cristiano per recarsi a Siviglia o è ritornato ad abitare il suo castello nel paese della Magna Grecia, dove le donne hanno la bellezza della terra dopo la pioggia e lo sguardo del mare dopo le tempeste. Non so. L'ho cercato. Ma non ho avuto notizie.
Quello che posso dire soltanto è che Alarcon è un personaggio reale, la monaca Carmelitana è morta nella cella del convento e Pier De La Luna ha abitato una stanza del castello.
Il petalo della rosa rossa non è la storia della rosa scarlatta. O una diversa storia…
I simboli sono più delle parole.
La leggenda finisce qui.
Ma qui comincia una nuova avventura che si perde proprio nel momento in cui abbiamo bisogno di testimoniarla con i documenti.
Alarcon mi ha detto ancora prima di far perdere le sue tracce: "Amico mio, quando cominci con la ragione a voler dare senso alle storie il tuo viaggio finisce. Non chiedere mai spiegazioni a ciò che reputi impossibile. Non stupirti se il miraggio del segreto insiste nel restare segreto. Non infilare mai il dito nel silenzio del mistero, pensando di dare voce ad una storia che non ha bisogno di diventare storia.
La magia, amico mio, sta proprio qui. Gioca sempre con l'alchimia che ti vive dal di dentro. Non tentare di capirla. Fermati prima che lo specchio possa infrangersi e coprirti di ferite. La bellezza dura se la custodisce. E tu, amico mio, custodisci la bellezza sempre, con il silenzio. Agli storici regala un sorriso. A te stesso il sogno. Così vivi tutto ciò che ti ho raccontato con il sogno. Il resto non ha importanza".
Finisce qui il viaggio di Alarcon nei miei pensieri.
Caro amico mio, caro principe, così tu vuoi ed io non ti cercherò.
Custodirò tutto ciò che mi hai raccontato nel sogno del mio cuore. Poi se accadrà altro dipende dai fili dell'alchimia, che hai lasciato lungo le strade della magia.
Se questa storia è inventata basta considerarla con beneficio di inventario e ogni riferimento è puramente letterario.
Se, invece, ha preso il sopravvento la fantasia nel mistero ogni fatto è puramente casuale.
Che dire di più?
Ma dove è finito Alarcon?
Non bisogna chiedere. Mai. Le risposte arriveranno. Ma non bisogna mai cercarle. Come non si cercano le aquile.
Un giorno arriverà un’aquila e ti porterà una rosa…
Ho ascoltato.
Zio Pietro, con un sorriso pieno di dolcezza e malinconia mi ha accarezzato i capelli e mi ha detto: “Potrai anche dimenticare ciò che ti ho raccontato, ma ti sarà difficile. E se non dimenticherai non chiederti mai dove possa arrivare la verità o dove possa vivere l’immaginazione. La storia può essere una fotografia”.
Poi uno spazio di silenzio. “Io conosco bene il mestiere di fotografo. Anche quando blocchi un’immagine si possono definire e determinare i dettagli i particolari i segni e il misterioso è nella vita…”.
A distanza di anni, dopo la morte di mio padre, tra carte lasciate marcire nei tanti cassetti della casa con il giardino e le palme, ho trovato dei fogli. Hanno una grafia stanca, quasi antica, a volte incomprensibile.
Ho riletto.
Si tratta, già dalle prime pagine, di una un’altra leggenda, dove la rosa e l’aquila sono presenti.
Non ci sono firme.
Sarà…
Faccio una copia. Inserisco tutto in una busta a sacchetto e spedisco all’indirizzo di zio Pietro, in Sardegna.
Non so se ha mai ricevuto. Dovrò chiedere a Roberto e a Susanna.
E così leggo.
Zio Pietro, con un sorriso pieno di dolcezza e malinconia mi ha accarezzato i capelli e mi ha detto: “Potrai anche dimenticare ciò che ti ho raccontato, ma ti sarà difficile. E se non dimenticherai non chiederti mai dove possa arrivare la verità o dove possa vivere l’immaginazione. La storia può essere una fotografia”.
Poi uno spazio di silenzio. “Io conosco bene il mestiere di fotografo. Anche quando blocchi un’immagine si possono definire e determinare i dettagli i particolari i segni e il misterioso è nella vita…”.
A distanza di anni, dopo la morte di mio padre, tra carte lasciate marcire nei tanti cassetti della casa con il giardino e le palme, ho trovato dei fogli. Hanno una grafia stanca, quasi antica, a volte incomprensibile.
Ho riletto.
Si tratta, già dalle prime pagine, di una un’altra leggenda, dove la rosa e l’aquila sono presenti.
Non ci sono firme.
Sarà…
Faccio una copia. Inserisco tutto in una busta a sacchetto e spedisco all’indirizzo di zio Pietro, in Sardegna.
Non so se ha mai ricevuto. Dovrò chiedere a Roberto e a Susanna.
E così leggo.
Ci si alzava tra l'aurora e l'alba. Le vie delle terre erano rovi ma anche arbusti e il verde dell'erba portava la rugiada di primavera. Si camminava. Bastava girare il capo per accorgersi che il Castello sembrava una roccaforte abitata da un Rinascimento intrecciato tra le parole del Medioevo e l'eleganza del Rinascimento.
In quel Castello si erano amati Lorenza Mendoza e Francisco de La Valle.
Era stato abitato per un anno dalla loro storia. Non ci sono documenti certi. Ma per ricostruire un amore non servono i documenti.
Si erano amati follemente.
Poi Francisco de La Valle dovette lasciare la dimora perché era stato chiamato alla corte di Spagna per un delicata missione diplomatica.
Fece un promessa a Lorenza: "Aspettami con la pazienza delle palme. Io tornerò in capo ad un metà d'anno. Fai in modo di coltivare le rose che ho piantato nel giardino del Re. Cresceranno roseti per il nostro amore e fino a quando saranno sbocciati gli ultimi boccioli io sarò di ritorno".
I roseti erano nel giardino.
Il giardino era diventato un unico roseto. Ma di Francisco nessuna notizia.
Si erano amati. Profondamente.
Nelle stanze del Castello. Lorenza aveva scritto, in attesa del ritorno di Francisco, alcuni versi che sono stati ritrovati in una stanza.
Ora sono andati perduti. Li aveva scritti, e sembravano incisi, su foglie di fico.
"A voler aspettare le rose si sono denudate/petali caduti come luci di stelle/sullo Ionio mare che ascoltar le onde/un tempo sfidavamo l'echeggiar.
/Tu per mare a navigar ti sei diretto/ma a ritornar hai perso rotta e porto".
È una delle poesie di Lorenza.
I versi sono stati recuperati e da me ricomposti in una fortunata unitarietà che è misterioso cammino d’anime.
Ho cercato in archivi, biblioteche pubbliche e private, in cassettoni zeppi di documenti, ma nulla ho ritrovato della loro storia.
Non ci sono più segni.
È il vento che custodisce il loro amore e il loro destino.
Una notte Lorenza partì, anch'ella, dal Castello. Decise di mettersi in viaggio alla ricerca del suo Francisco. Abbandonò le sue tende, i suoi arazzi e i suoi gioielli.
Si imbarcò dal porto di Sibari. Ma non era diretta in Grecia. Le avevano suggerito di recarsi a Barcellona. Le avevano detto che in quella città operava il suo Francisco.
Portò seco soltanto arbusti di rose e boccioli ancora verdi. Ma durante il viaggio, questo si seppe soltanto dopo alcuni mesi, la nave fece naufragio. Ci fu una tempesta di vento e di pioggia.
Nulla restò.
Si erano amati nel Castello di San Lorenzo de La Valle de' Mendoza.
Un Castello che dominava le alture e dalle torri si osservava il mare della Magna Grecia e il fiume Esaro.
In una stanza sono rimaste sino all'altro ieri alcune foglie di fico ancora di verde terra. Poi, quando aprirono un balcone, il vento rapì queste ultime foglie.
Io riuscii a recuperarne una, anzi venne a posarsi su una pianta di Orchidea che mio padre aveva coltivato fino a qualche giorno prima di compiere la sua traversata lungo i sentieri del mistero.
Sono riuscito a decifrare soltanto pochi versi.
Sotto la luce del sole tutto si cancellò.
"A ritrovar promesse/di promesse riempirò il cammino./Nulla mi è dato/e se tutto ho ricevuto/in prestito ho custodito amore e rose./E se di prestito ho vissuto/io dovrò ritornarlo/come dono/e al mare restituirlo".
Qui finisce ogni racconto.
Neppure di Francisco più nulla si seppe.
Lorenza e Francisco si amarono profondamente. E tutto di segreto il loro destino si avvolse. Ma il Castello conserverà pure altri segreti…
Quando tempo sarà, il vento o la polvere ricondurranno ad altre stanze e ci saranno altri racconti o altre parole giungeranno per dire ancora di una voce chiusa nel silenzio.
Questa storia mi è sta raccontata da Antoni Garcia.
Era il 30 di aprile di alcuni anni fa.
Poi non l'ho più rivisto e neppure sentito per telefono.
Io non ho più il suo recapito, ma mi ha detto che sarebbe stato lui a cercarmi. Aspetto.
D'altronde cosa dovrei fare?
Leggo le ombre e osservo il mare.
Abito la casa di paese e coltivo rose.
Aspetto che qualcuno arrivi.
O che qualcuno bussi alla porta. Mentre l’aquila, su un torrione del castello, custodisce nel becco la sua rosa rossa…
In quel Castello si erano amati Lorenza Mendoza e Francisco de La Valle.
Era stato abitato per un anno dalla loro storia. Non ci sono documenti certi. Ma per ricostruire un amore non servono i documenti.
Si erano amati follemente.
Poi Francisco de La Valle dovette lasciare la dimora perché era stato chiamato alla corte di Spagna per un delicata missione diplomatica.
Fece un promessa a Lorenza: "Aspettami con la pazienza delle palme. Io tornerò in capo ad un metà d'anno. Fai in modo di coltivare le rose che ho piantato nel giardino del Re. Cresceranno roseti per il nostro amore e fino a quando saranno sbocciati gli ultimi boccioli io sarò di ritorno".
I roseti erano nel giardino.
Il giardino era diventato un unico roseto. Ma di Francisco nessuna notizia.
Si erano amati. Profondamente.
Nelle stanze del Castello. Lorenza aveva scritto, in attesa del ritorno di Francisco, alcuni versi che sono stati ritrovati in una stanza.
Ora sono andati perduti. Li aveva scritti, e sembravano incisi, su foglie di fico.
"A voler aspettare le rose si sono denudate/petali caduti come luci di stelle/sullo Ionio mare che ascoltar le onde/un tempo sfidavamo l'echeggiar.
/Tu per mare a navigar ti sei diretto/ma a ritornar hai perso rotta e porto".
È una delle poesie di Lorenza.
I versi sono stati recuperati e da me ricomposti in una fortunata unitarietà che è misterioso cammino d’anime.
Ho cercato in archivi, biblioteche pubbliche e private, in cassettoni zeppi di documenti, ma nulla ho ritrovato della loro storia.
Non ci sono più segni.
È il vento che custodisce il loro amore e il loro destino.
Una notte Lorenza partì, anch'ella, dal Castello. Decise di mettersi in viaggio alla ricerca del suo Francisco. Abbandonò le sue tende, i suoi arazzi e i suoi gioielli.
Si imbarcò dal porto di Sibari. Ma non era diretta in Grecia. Le avevano suggerito di recarsi a Barcellona. Le avevano detto che in quella città operava il suo Francisco.
Portò seco soltanto arbusti di rose e boccioli ancora verdi. Ma durante il viaggio, questo si seppe soltanto dopo alcuni mesi, la nave fece naufragio. Ci fu una tempesta di vento e di pioggia.
Nulla restò.
Si erano amati nel Castello di San Lorenzo de La Valle de' Mendoza.
Un Castello che dominava le alture e dalle torri si osservava il mare della Magna Grecia e il fiume Esaro.
In una stanza sono rimaste sino all'altro ieri alcune foglie di fico ancora di verde terra. Poi, quando aprirono un balcone, il vento rapì queste ultime foglie.
Io riuscii a recuperarne una, anzi venne a posarsi su una pianta di Orchidea che mio padre aveva coltivato fino a qualche giorno prima di compiere la sua traversata lungo i sentieri del mistero.
Sono riuscito a decifrare soltanto pochi versi.
Sotto la luce del sole tutto si cancellò.
"A ritrovar promesse/di promesse riempirò il cammino./Nulla mi è dato/e se tutto ho ricevuto/in prestito ho custodito amore e rose./E se di prestito ho vissuto/io dovrò ritornarlo/come dono/e al mare restituirlo".
Qui finisce ogni racconto.
Neppure di Francisco più nulla si seppe.
Lorenza e Francisco si amarono profondamente. E tutto di segreto il loro destino si avvolse. Ma il Castello conserverà pure altri segreti…
Quando tempo sarà, il vento o la polvere ricondurranno ad altre stanze e ci saranno altri racconti o altre parole giungeranno per dire ancora di una voce chiusa nel silenzio.
Questa storia mi è sta raccontata da Antoni Garcia.
Era il 30 di aprile di alcuni anni fa.
Poi non l'ho più rivisto e neppure sentito per telefono.
Io non ho più il suo recapito, ma mi ha detto che sarebbe stato lui a cercarmi. Aspetto.
D'altronde cosa dovrei fare?
Leggo le ombre e osservo il mare.
Abito la casa di paese e coltivo rose.
Aspetto che qualcuno arrivi.
O che qualcuno bussi alla porta. Mentre l’aquila, su un torrione del castello, custodisce nel becco la sua rosa rossa…
Un canto che si ripercorre per ripetersi. Ripetersi non è storia. È magia.
Io so che incastrare la magia alla storia significa dare un senso alle alchimie delle esistenze.
Zio Pietro ha vissuto la vita tra l’ironia e il gioco delle sfide in un quotidiano che mi ha sempre affascinato. Queste leggende sono nel viaggio di un uomo e di tutto il resto.
Zio Gino era a conoscenza di queste leggende e quando, un giorno, gli ho raccontato queste avventure ha semplicemente sorriso.
Zio Adolfo ha ascoltato, forse incredulo, questo mio narrare ed ha sorriso con ironia, e zio Mariano mi ha detto con il suo sguardo attento: “Il mistero nella nostra famiglia è un viaggio inevitabile ma c’è tanta bellezza”.
Mio padre ricordava tutto e mi ha sussurrato: “Ti cercherò degli appunti trovati in un baule, abbandonato in questa casa, dove è possibile capire che non bisogna mai chiedere al mistero di non essere mistero…”.
Forse qui si chiude l’impaginato di una vita!
Chi potrà mai spaginare il racconto dei cinque fratelli?
Una domanda che non mi pongo.
Non mi porrò.
Vivono gli orizzonti e sanno che l’aquila è in volo e non viene mai meno alla fedeltà degli appuntamenti.
La rosa ha tinto di tramonto la linea del mare.
Sfumature tra i crepuscoli e l’aquila ha la corona sul capo.
Il libro è giunto all’indice.
Subito dopo c’è il Finito di stampare.
L’ultima pagina è bianca come la prima.
Le bozze sono state già corrette. Se ci sono errori o omissioni a volte sono stati voluti a volte… Ma non ci sarà una nuova versione.
Ora l’editore dovrà pensare a stamparlo e a distribuirlo.
Io so che incastrare la magia alla storia significa dare un senso alle alchimie delle esistenze.
Zio Pietro ha vissuto la vita tra l’ironia e il gioco delle sfide in un quotidiano che mi ha sempre affascinato. Queste leggende sono nel viaggio di un uomo e di tutto il resto.
Zio Gino era a conoscenza di queste leggende e quando, un giorno, gli ho raccontato queste avventure ha semplicemente sorriso.
Zio Adolfo ha ascoltato, forse incredulo, questo mio narrare ed ha sorriso con ironia, e zio Mariano mi ha detto con il suo sguardo attento: “Il mistero nella nostra famiglia è un viaggio inevitabile ma c’è tanta bellezza”.
Mio padre ricordava tutto e mi ha sussurrato: “Ti cercherò degli appunti trovati in un baule, abbandonato in questa casa, dove è possibile capire che non bisogna mai chiedere al mistero di non essere mistero…”.
Forse qui si chiude l’impaginato di una vita!
Chi potrà mai spaginare il racconto dei cinque fratelli?
Una domanda che non mi pongo.
Non mi porrò.
Vivono gli orizzonti e sanno che l’aquila è in volo e non viene mai meno alla fedeltà degli appuntamenti.
La rosa ha tinto di tramonto la linea del mare.
Sfumature tra i crepuscoli e l’aquila ha la corona sul capo.
Il libro è giunto all’indice.
Subito dopo c’è il Finito di stampare.
L’ultima pagina è bianca come la prima.
Le bozze sono state già corrette. Se ci sono errori o omissioni a volte sono stati voluti a volte… Ma non ci sarà una nuova versione.
Ora l’editore dovrà pensare a stamparlo e a distribuirlo.