Le eredità letterarie della Provenza: dal Guinizzelli in Dante, dal Marcabru in Mistral. I cercatori della Chanson
di Piefranco Bruni
di Piefranco Bruni
Il legame tra le culture letterarie Occitana – Provenza e Catalana costituisce una significativa chiave di lettura che permette di penetrare modelli poetici ed espressivi che sono parte viva della identità linguistica occidentale. C’è un rapporto costante tra la poesia provenzale e quella che definiamo occitana con la poesia italiana che annuncia o precede il dolce Stil novo. Ci sono modelli cosìddetti retorici e tessuti letterari in cui l’iterazione è abbastanza consistente. Elementi che abbracciano quella dimensione della cultura poetica che sottolinea il sorgere di un concetto “cortese” anche nella descrizione dei rapporti e nelle versioni delle immagini. È proprio con Guido Guinizzelli e con le sue rime che la cultura italiana entra nel novero di quel rapporto-legame tra eredità provenzale e contesto occitano.
C’è da dire, come sostiene Costanzo Di Girolamo in I trovatori (Bollati Boringhieri, 1989 - 2002) che “La letteratura provenzale presenta una storia abbastanza tipica rispetto alle altre letterature romanze. Precocemente attestate, e in essa che prende vita la lirica moderna: una poesia d’arte, laica, composta in una lingua volgare. È infatti la lirica il genere egemone che ne domina , a danno di altri generi, la breve esistenza. Il primo trovatore a noi noto, Guglielmo IX d’Aquitania, inizia con ogni probabilità la sua attività poetica negli ultimi anni dell’XI secolo; Guiraut Riuier, che qualcuno ha chiamato l’ultimo trovatore, scrisse la sua ultima poesia nel 1292”.
C’è da dire, come sostiene Costanzo Di Girolamo in I trovatori (Bollati Boringhieri, 1989 - 2002) che “La letteratura provenzale presenta una storia abbastanza tipica rispetto alle altre letterature romanze. Precocemente attestate, e in essa che prende vita la lirica moderna: una poesia d’arte, laica, composta in una lingua volgare. È infatti la lirica il genere egemone che ne domina , a danno di altri generi, la breve esistenza. Il primo trovatore a noi noto, Guglielmo IX d’Aquitania, inizia con ogni probabilità la sua attività poetica negli ultimi anni dell’XI secolo; Guiraut Riuier, che qualcuno ha chiamato l’ultimo trovatore, scrisse la sua ultima poesia nel 1292”.
Una cesellatura significativa che si aggiunge a questa ulteriore osservazione sempre di Di Girolamo: “Con questa data si può simbolicamente far terminare la poesia dei trovatori: la produzione posteriore, per altro scarsa, è ripetitiva e assumerà ben presto un carattere puramente accademico. L’inizio della fine, tuttavia, risaliva a almeno mezzo secolo prima : nell’arco di pochi decenni assistiamo come alla graduale estinzione di una intera tradizione letteraria, di una tradizione destinata a lasciare tracce indelebili in tutta la cultura occidentale”.
Si può notare come il mosaico del modello provenzale ha una profonda eredità occidentale che pone in essere tre realtà culturali e geografiche : quella francese, quella iberica, quella tedesca. In una tale geografia di modelli culturali ciò che emerge costantemente è il concetto di trovatore, ovvero trovare. Il segno tangibile che siamo oltre ogni visione storica ma siamo pur sempre in una dimensione in cui il rapporto tempo-fantasia è abbastanza consistente.
D’altronde lo stesso verbo “trobar” ci porta ad una spiegazione piuttosto semplice che è quella di inventare, di creare, di trovare. E questo “trovare-inventare” è una ricerca in un gioco sistematico tra la parola non fine a se stessa ma quella parola che offre melodia, cioè musicalità.
Si può notare come il mosaico del modello provenzale ha una profonda eredità occidentale che pone in essere tre realtà culturali e geografiche : quella francese, quella iberica, quella tedesca. In una tale geografia di modelli culturali ciò che emerge costantemente è il concetto di trovatore, ovvero trovare. Il segno tangibile che siamo oltre ogni visione storica ma siamo pur sempre in una dimensione in cui il rapporto tempo-fantasia è abbastanza consistente.
D’altronde lo stesso verbo “trobar” ci porta ad una spiegazione piuttosto semplice che è quella di inventare, di creare, di trovare. E questo “trovare-inventare” è una ricerca in un gioco sistematico tra la parola non fine a se stessa ma quella parola che offre melodia, cioè musicalità.
In altri termini il testo poetico veniva offerto come una canzone. Si pensi ai testi di Jaufre Rudel che esprimono un tempo della malinconia fatto di una liricità tipica che è quella trobadorica. Ma anche nelle poesia di Marcabru che si caratterizzano per una insistenza di elementi cristiani il lirismo è assorbito come metafora e proiettato come immagine.
Siamo in una temperie nella quale l’Occidente è difesa di Umanesimo e gli scorrimenti lirici sono una attrazione che va dal cavaliere alla donna. È naturale che il canto d’amore assume quelle sembianze che sono dettate dal segno della nobiltà. Ecco il canto cortese. Ma non mancano sia i segni di una ironia toccante come in Bernart de Ventadorn o il tradizionalismo classico di Peire Rogier.
Un intercalare quasi affabulistico che si definisce nella recita costante di una malinconia in cui amore e lontananza sono i riferimenti fondamentali. Fa da sfondo a tutto questo lo straordinario recitativo che sviluppa la storia di Tristano che verrà ripresa più volte nelle diverse epoche successive ma il racconto de Tristan di Thomas appartiene probabilmente a quel frangente di anni che va dal 1170 al 1175.
Insomma Tristano e Isotta definiscono non una nostalgia ma la ferita di un amore che attraverserà tutto il cantico dei sognatori innamorati. In pieno clima duecentesco o in un clima che prepara ciò che leggeremo nella Vita nova di Dante. Lo stesso Dante non è assolutamente immune da radicamenti provenzali o da atteggiamenti lirici che ci riportano ad una ispirazione “sirventese”.
È ancora Costanzo di Girolamo nel testo citato che sottolinea : “Nel sirventese, assai più che nella canzone, si riesce a cogliere il contatto della poesia provenzale con la realtà storico-sociale, con la mentalità e i guati del pubblico”.
Siamo in una temperie nella quale l’Occidente è difesa di Umanesimo e gli scorrimenti lirici sono una attrazione che va dal cavaliere alla donna. È naturale che il canto d’amore assume quelle sembianze che sono dettate dal segno della nobiltà. Ecco il canto cortese. Ma non mancano sia i segni di una ironia toccante come in Bernart de Ventadorn o il tradizionalismo classico di Peire Rogier.
Un intercalare quasi affabulistico che si definisce nella recita costante di una malinconia in cui amore e lontananza sono i riferimenti fondamentali. Fa da sfondo a tutto questo lo straordinario recitativo che sviluppa la storia di Tristano che verrà ripresa più volte nelle diverse epoche successive ma il racconto de Tristan di Thomas appartiene probabilmente a quel frangente di anni che va dal 1170 al 1175.
Insomma Tristano e Isotta definiscono non una nostalgia ma la ferita di un amore che attraverserà tutto il cantico dei sognatori innamorati. In pieno clima duecentesco o in un clima che prepara ciò che leggeremo nella Vita nova di Dante. Lo stesso Dante non è assolutamente immune da radicamenti provenzali o da atteggiamenti lirici che ci riportano ad una ispirazione “sirventese”.
È ancora Costanzo di Girolamo nel testo citato che sottolinea : “Nel sirventese, assai più che nella canzone, si riesce a cogliere il contatto della poesia provenzale con la realtà storico-sociale, con la mentalità e i guati del pubblico”.
In questo modello di poesia ciò che colpisce è soprattutto la forma di recitazione. Meglio sarebbe la teatralità. La teatralità che è voce e gestualità che contraddistinguono anche un modo di fare poesia attraverso il recupero di una parlata che è tutta dentro le radici di un popolo. In fondo ci troviamo in una cultura che è cultura di popolo espressa grazie a una forma pittoresca di un poeta, o meglio di un trovatore che potrebbe essere definito come un viandante.
Uno dei poeti che ha innovato questo percorso è stato chiaramente Raimbaut de Vaqueiras il quale ci sottolinea il modello di una canzone cortese che, come osserva di Girolamo, “richiede…una melodia originale, rappresentando all’interno di questo genere una considerevole innovazione per ciò che riguarda la melodia”.
L’intreccio tra il mondo catalano e quello occitano è una vera e propria forza stilistica che offre organicità ai modelli dei canzonieri. Problematicità dei temi affrontati e studio della lingua costituiscono il destino vero di una riproposta di civiltà letteraria che assume valenze autenticamente poetiche.
Si diceva che Guido Guinizzelli ha assorbito questo tessuto. Ed è proprio vero tant’è che Luciano Rossi nell’Introduzione a Rime di Giudo Guinizzelli (Einaudi, 2002) fa esplicito riferimento ad una “nozione occitanica”che viene considerata come una vera e propria “categoria poetica”.
Un rimando essenziale perché la tradizione occitanica è un vento lirico che coinvolgerà quasi tutta la scuola siciliana in una interpretazione esplicitamente trobadorica. La funzione che ha avuto Peire Vidal con la sua canzone è una interpretazione essenziale.
Uno dei poeti che ha innovato questo percorso è stato chiaramente Raimbaut de Vaqueiras il quale ci sottolinea il modello di una canzone cortese che, come osserva di Girolamo, “richiede…una melodia originale, rappresentando all’interno di questo genere una considerevole innovazione per ciò che riguarda la melodia”.
L’intreccio tra il mondo catalano e quello occitano è una vera e propria forza stilistica che offre organicità ai modelli dei canzonieri. Problematicità dei temi affrontati e studio della lingua costituiscono il destino vero di una riproposta di civiltà letteraria che assume valenze autenticamente poetiche.
Si diceva che Guido Guinizzelli ha assorbito questo tessuto. Ed è proprio vero tant’è che Luciano Rossi nell’Introduzione a Rime di Giudo Guinizzelli (Einaudi, 2002) fa esplicito riferimento ad una “nozione occitanica”che viene considerata come una vera e propria “categoria poetica”.
Un rimando essenziale perché la tradizione occitanica è un vento lirico che coinvolgerà quasi tutta la scuola siciliana in una interpretazione esplicitamente trobadorica. La funzione che ha avuto Peire Vidal con la sua canzone è una interpretazione essenziale.
Una osservazione attenta è quella di Luciano Rossi nel testo già citato quando afferma : “Guinizzelli rinverdisce un topos ben noto alla tradizione occitana, quello della dama che rischiara il buio con la sua aurea” anche se, sempre Rossi, sosterrà inoltre che “Rispetto al lasciato poetico dei Siciliani e a quello di trovatori e trovieri gallo-romanzi , del quale pure Guido è debitore, bisogna riconoscere che la novità guinizzelliana consiste, il più delle volte, nel rigore dialettico in cui la topica amorosa è inquadrata”.
Il legame con i poeti provenzali è ben evidente perché c’è da dire che la formula è sempre una derivazione di una poesia cortese e pur non essendoci conflitto tra derivazione d’ “oil” e “doc” il Guinizzelli si sente più vicino alla prima.
Chi certamente si inserirà in questo spaccato pur con una impostazione articolata è anche Guido Cavalcanti. Il poeta dei simboli e delle allegorie ma anche di una filosofia che intreccia cuore e anima fra ciò che Maria Corti ha definito “amore ideale e presenza del sensibile” (Introduzione in Guido Cavalcanti, Rime, Rizzoli,1978) .
In Cavalcanti vi è una costante che è la metafora della morte che non troviamo facilmente nei poeti p0rima menzionati. Maria Corti nel testo citato sostiene : “ Cavalcanti non è solo un raffinatissimo e un po’ splenetico poeta, ma si porta dentro un senso abbastanza drammatico del vivere”. Una avvertenza significativa che farà dire a Mario Marti che in Cavalcanti esplode “ la prediletta tematica dell’angoscia” (Mario Marti, Storia dello Stil nuovo, Micella,1973, vol. II).
Si può ben dire che la poesia italiana ha un debito nei confronti della cultura che proviene dalla Provenza e ciò lo ha ben definito Cesare Segre nell’Introduzione a Poesia italiana Duecento - Trecento (Einaudi, 1999) quando scrive che l’Italia “per un certo periodo rivela la sua dipendenza ora dalla Provenza, ora dalla Francia del nord : anche nella tematica, nella metrica e nel linguaggio. In più, nel secolo XIII l’Italia è frequentata dai trovatori provenzali, specie dopo che la Crociata contro gli Albigesi ha reso difficile la loro permanenza in patria. Tutto il nord, ma specialmente il Monferrato, Genova, la Marca Trevigiana e i feudi dei Malaspina, ospitano rappresentanti del movimento trobadorico; e presto anche molti italiani scrivono le loro poesie in provenzale : maggiore fra tutti Bordello da Goito. A questa attività poetica alloglotta s’aggiunge successivamente quella in francese : alludo alle chansons de geste, cantate e popolari specie in area veneta, e presto rielaborate (o persino composte ex novo) in una koinè mista di francese e di dialetto locale, oltre che di forme italiane comuni”.
È evidente l’intelaiatura tematica e lirica di una presenza in cui la cultura catalana e occitana incide notevolmente nel sostrato poetico e meta – poetico di una poesia che è chiaramente frutto di un mosaico fantastico allegorico giullare e reale ma è altresì vero che dietro ogni funzione di una tale poesia ci sono o si avvertono elementi formativi. Siamo sempre nel campo della poesia che viene considerata chanson.
Lo dimostrano i poeti prima citati, lo dimostrano i versi di Bertran de Born, di Comtese Beatriz de Dia, di Arnaut Daniel. Una tale chanson si divide in de croisade e de toile. Nella prima c’è una esortazione nei confronti dei cristiani i quali vengono invitati a partecipare alle guerre sante. Nella seconda invece si raccontano gli amori nel ricordo dell’amato morto.
Accanto a questi generi non si può trascurare la pastorelle nella quale si sottolinea l’amore tra la pastorella e il signore. Altri generi e altre combinazioni vivono dentro il mosaico di una poesia provenzale catalana ma il dato fondamentale e indelebile resta sempre quella di una affermazione di una eredità poetica e culturale occidentale.
Una poetica il cui senso lirico è appunto il canto. Un canto che, comunque, non fa a meno dei luoghi, di quei luoghi che costituiscono il respiro e il sollievo di un cantare le pieghe del tempo e i giorni della vita come alcuni anni più tardi farà un grande scrittore provenzale che risponde al nome di Fredèric Mistral.
Uno scrittore che ha saputo raccogliere le istanze di una ricca e importante tradizione nel cui orizzonte letterario si ascolteranno le voci e gli echi, i suoni e i sentimenti di una eredità culturale che continua a vivere tra i segni mai dimenticati di una appartenenza che è, profondamente, culturale e umana. In Mistral la Provenza e la dimensione della Catalogna rappresentano dei riferimenti ben visibili e catturabili sia attraverso i personaggi sia attraverso il paesaggio sia attraverso alcune forme iterative che hanno un forte spessore sul piano valoriale della parola. La “memoria” alla quale fa riferimento Mistral proviene direttamente da quella stagione pre – medievale e medievale che è modello caratterizzante di tutta la cultura provenzale – occitana e catalana.
Il legame con i poeti provenzali è ben evidente perché c’è da dire che la formula è sempre una derivazione di una poesia cortese e pur non essendoci conflitto tra derivazione d’ “oil” e “doc” il Guinizzelli si sente più vicino alla prima.
Chi certamente si inserirà in questo spaccato pur con una impostazione articolata è anche Guido Cavalcanti. Il poeta dei simboli e delle allegorie ma anche di una filosofia che intreccia cuore e anima fra ciò che Maria Corti ha definito “amore ideale e presenza del sensibile” (Introduzione in Guido Cavalcanti, Rime, Rizzoli,1978) .
In Cavalcanti vi è una costante che è la metafora della morte che non troviamo facilmente nei poeti p0rima menzionati. Maria Corti nel testo citato sostiene : “ Cavalcanti non è solo un raffinatissimo e un po’ splenetico poeta, ma si porta dentro un senso abbastanza drammatico del vivere”. Una avvertenza significativa che farà dire a Mario Marti che in Cavalcanti esplode “ la prediletta tematica dell’angoscia” (Mario Marti, Storia dello Stil nuovo, Micella,1973, vol. II).
Si può ben dire che la poesia italiana ha un debito nei confronti della cultura che proviene dalla Provenza e ciò lo ha ben definito Cesare Segre nell’Introduzione a Poesia italiana Duecento - Trecento (Einaudi, 1999) quando scrive che l’Italia “per un certo periodo rivela la sua dipendenza ora dalla Provenza, ora dalla Francia del nord : anche nella tematica, nella metrica e nel linguaggio. In più, nel secolo XIII l’Italia è frequentata dai trovatori provenzali, specie dopo che la Crociata contro gli Albigesi ha reso difficile la loro permanenza in patria. Tutto il nord, ma specialmente il Monferrato, Genova, la Marca Trevigiana e i feudi dei Malaspina, ospitano rappresentanti del movimento trobadorico; e presto anche molti italiani scrivono le loro poesie in provenzale : maggiore fra tutti Bordello da Goito. A questa attività poetica alloglotta s’aggiunge successivamente quella in francese : alludo alle chansons de geste, cantate e popolari specie in area veneta, e presto rielaborate (o persino composte ex novo) in una koinè mista di francese e di dialetto locale, oltre che di forme italiane comuni”.
È evidente l’intelaiatura tematica e lirica di una presenza in cui la cultura catalana e occitana incide notevolmente nel sostrato poetico e meta – poetico di una poesia che è chiaramente frutto di un mosaico fantastico allegorico giullare e reale ma è altresì vero che dietro ogni funzione di una tale poesia ci sono o si avvertono elementi formativi. Siamo sempre nel campo della poesia che viene considerata chanson.
Lo dimostrano i poeti prima citati, lo dimostrano i versi di Bertran de Born, di Comtese Beatriz de Dia, di Arnaut Daniel. Una tale chanson si divide in de croisade e de toile. Nella prima c’è una esortazione nei confronti dei cristiani i quali vengono invitati a partecipare alle guerre sante. Nella seconda invece si raccontano gli amori nel ricordo dell’amato morto.
Accanto a questi generi non si può trascurare la pastorelle nella quale si sottolinea l’amore tra la pastorella e il signore. Altri generi e altre combinazioni vivono dentro il mosaico di una poesia provenzale catalana ma il dato fondamentale e indelebile resta sempre quella di una affermazione di una eredità poetica e culturale occidentale.
Una poetica il cui senso lirico è appunto il canto. Un canto che, comunque, non fa a meno dei luoghi, di quei luoghi che costituiscono il respiro e il sollievo di un cantare le pieghe del tempo e i giorni della vita come alcuni anni più tardi farà un grande scrittore provenzale che risponde al nome di Fredèric Mistral.
Uno scrittore che ha saputo raccogliere le istanze di una ricca e importante tradizione nel cui orizzonte letterario si ascolteranno le voci e gli echi, i suoni e i sentimenti di una eredità culturale che continua a vivere tra i segni mai dimenticati di una appartenenza che è, profondamente, culturale e umana. In Mistral la Provenza e la dimensione della Catalogna rappresentano dei riferimenti ben visibili e catturabili sia attraverso i personaggi sia attraverso il paesaggio sia attraverso alcune forme iterative che hanno un forte spessore sul piano valoriale della parola. La “memoria” alla quale fa riferimento Mistral proviene direttamente da quella stagione pre – medievale e medievale che è modello caratterizzante di tutta la cultura provenzale – occitana e catalana.