Marinaio di porti stanchi
tra le favole belle
Pierfranco Bruni
tra le favole belle
Pierfranco Bruni
L’uomo era un marinaio
che per raccogliere le favole belle perse la sua favola. Andò per Oceani e azzurri Mediterranei. Incontrò venti d’altura e principesse e non volle mai custodire i ricordi. Si inventò scommesse. Venne sconfitto e mai distrutto. Non so cosa di lui si potrà narrare ammesso che narrare sia possibile ma è certo che narrare non è pensabile quando il racconto è la brughiera della favola. Non intrattenerti a discutere se un gradino è più basso dell'altro. O se le mie mani accarezzano i tuoi seni o i tuoi fianchi. O se le mie labbra hanno il cerchio della notte per mordere la tua bocca. Non spaziare il tempo tra un pensiero frammentato e un'isola di parole. Finirà il mio colloquiare con un sorriso ironico e la barba incolta come Ernest che conosce cos’è una fiesta mobile e sa che il sole risorgerà dopo i tramonti. Finirò di ascoltare le voci del sole proprio quando l'ultima vela sarà tra le onde d'altura e le cinque preghiere hanno smesso nell’eco il canto. È triste la metafora della mia assenza o di una partenza ma non so più raccontarti favole. Marinaio di porti stanchi e antico guerrigliero di maree non ho mai tradito balene e Oceani di sale acque di Mediterranei e Orienti di sabbia e roccia o azzurri sguardi nei segreti dei veli. Un giorno recitavo la danza del c'era una volta perché la magia mi rapiva lo sguardo e la pazienza mi raccoglieva nell’atteso passo dei tuareg. È passato tutto il tempo necessario e le ore sono diventate nodi di nuvola in un volo d'aquila che non conosce i limiti e gli orizzonti. Non chiedermi spiegazioni. Ho cominciato con i ritagli di giorni e chiudo la partita senza aver cucito l'ultima ragnatela del mosaico. Eppure ogni appuntamento l'ho giocato con la luna del sogno nei miei occhi in tempesta. |
Lascia stare ogni commento
ogni pregiudizio e ogni arrendevole pretesa di erranza. I deserti li ho attraversati tutti e il viaggio è incompiuto. Vorrei soltanto ascoltare il vento quando l'ultimo caffè mi sorseggia la voce. Non mi leggere con la sofferenza di chi pretende di aver capito e non dirmi: parliamone. Resto qui. Ti busso appena arrivo magari il caffè lo offri tu. A casa tua. Mi mancano i centesimi per un caffè da solo. Poi potrai dire: c'era una volta un racconto e anche il racconto smise di raccontarsi e la favola del racconto rimase nascosta tra i petali di una rosa gialla. Dirai c'era una volta! Ma la rosa gialla è nel bosco. Ora prendiamoci questo caffè ma senza discutere. Il silenzio è la conta giusta delle pagine che ho scritto. Certo. Zuccherato e nel bicchiere di vetro. Non intrattenermi a sfogliare le parole che non ho pensato. Marinaio di porti stanchi tra le favole belle ho la rete appesa alla lampara e la trasparenza ha incagliato i crepuscoli negli infiniti sconfitti dalle ombre dei remi. Prendiamoci questo caffè distanti dai ricordi e da tutto ciò che ha nome nostalgia. Non ti illudere la favola deve essere bella altrimenti è semplicemente una foglia morta. Così accadde: il vecchio con la barba contava le stelle sul mare e la saggezza era soltanto un inganno. C’era una volta un uomo che raccoglieva gli anni, e quando smise di raccoglierli si accorse che non erano ancora sufficienti. Si ingannò perché non aveva imparato a misurare i giochi tondi della luna. Cercò di inventarsi l’attenzione nel numerare i giochi, facendo una scommessa con lo specchio, ma lo specchio aveva truccato le immagini, i numeri e le maschere. L’uomo che si era inganno a misurare i giochi tondi della luna perse tutto, e perse anche la scommessa con se stesso. L’uomo era un marinaio che per raccogliere le favole belle perse la sua favola. |