Chi ha avuto ed ha una nobiltà non può che restare perno centrale nella vita della famiglia e nello stile tra i Bruni – Gaudinieri.
Nulla si dimentica perché tutto è nella Tradizione
Nulla si dimentica perché tutto è nella Tradizione
Il tempo della storia è un tempo che ha sempre una cronologia che si misura con il quotidiano. Nei paesi c'è una particolare rappresentazione del tempo. Ed è quello della lentezza. La lentezza è sostanzialmente una geografia in cui l'esistere è il cammino proprio nell'intreccio tra la storia e la fine della storia.
Non esiste una storia che sia verità o che possa essere considerata la verità.
Ogni generazione ha una sua storia vissuta nel tentativo di afferrare il tramite tra il sapere la conoscenza con il dividere la realtà. In questa frattura si consuma il senso e l'abbandono, la caduta e la dignità, l'orgoglio e la consapevolezza di una tradizione che ha la sua profonda nobiltà.
Spesso penso al viaggio che mio padre ha attraversato.
Spesso ritrovo, nel ricordo che i cinque fratelli mi hanno consegnato, un tempo mancante, ma ricco, imponente, forte che cammina lungo i miei passi.
Cinque fratelli che hanno disegnato quella storia che oltre a ricamare il tempo ha tracciato un destino.
Il concetto di destino resta legato profondamente al passaggio dei cinque fratelli che hanno viaggiato tra un presente sempre rimasto presente e una tradizione che ha la ramificazione forte nel concetto di eredita spirituale.
Io ho vissuto e vivo nel cuore della dignità.
Una dignità che ha permesso alla mia e nostra storia di restare storia nel destino e semplicemente di vivere tutto ciò dentro una griglia simbolica.
L'aquila è un simbolo fondamentale.
L'aquila che è lo stemma della famiglia Giardinieri porta sul capo una corona. Sono rimasto a lungo a riflettere su questa visione fatta di archetipi.
Ho già detto che l’aquila e il serpente (serpentello) sono i due simboli che caratterizzano il vero e proprio “topos” di una famiglia che ha segnato un percorso nella storia di civiltà. Ma ciò non è ricordo.
La storia che vive nel tempo attraverso la cifra dei documenti ma la memoria, a volte, è più forte degli stessi documenti di ciò che mia figlia chiama le fonti e sulle quali si basa, secondo lei, assillandomi a volte, tutta la dimensione della storia.
È vero, ma io, proustianamente, resto legato al racconto che vive di ricordi, di dettagli, di piccoli segni.
Di quei piccoli segni che ci hanno portato a ricostruire il disegno di una famiglia e che Giulia, Giulia che chiamavamo di Cosenza, Giulia di zio Mariano e zia Maria, mi ha permesso di leggere con un quadro in cui l’immagine e il ricordo sono un intreccio forte.
Nella vita basta, a volte, un piccolo angolo che non vedi più da anni e poi rivedi, per costruire un viaggio. Ho sempre un luogo fisso nel mio immaginario che è lo studio di zio Mariano nella casa di Cosenza di Viale del Re, come si chiamava, la via, una volta. È diventato per me un quadro, poi uno specchio, poi un luogo – pensiero.
Forse proprio nei dialoghi antichi con lui, in quei dialoghi di affetto e di rimproveri, ho ritrovato, ricordando e ricostruendo, una memoria che nel tempo che passa rimane come testimonianza e come insegnamento.
Io a lui, a zio Mariano, devo molto. Un capitolo già scritto e che non dimentico mai.
Ora che ho rivisto le sue foto, la sua giovinezza tra piccole e grandi immagini, in una Roma che mi ha appartenuta e mi appartiene ho ritrovato molte somiglianze.
Una città, un paese dal quale siamo partiti, un lavoro sulle scienze e sulle matematiche da parte di Mariano, un paese, una città e un lavoro forte sulle letteratura e sulla cultura umanistica da parte mia.
Luoghi che sono stati suoi sono stati e continuano ad essere anche miei.
Poi c’è anche Taranto. Zio Mariano ha amato Taranto. In quanti Esami di Stato, nelle Commissioni scolastiche, è stato protagonista Mariano proprio a Taranto e quel mare di molte sue estati è diventato poi il mio mare.
Osservare la vita con la forte passione, tuffandosi dentro le questione, e il saper vivere anche con distacco.
Non mi ha meravigliato tanto quando, non molti giorni fa, un conoscente di antica data mi ha detto che vedendomi gli ho portato negli occhi l’immagine di Mariano, di zio Mariano, di Don Mariano come continuano tutti, ricordandolo, a chiamarlo a San Lorenzo del Vallo.
È proprio vero che c’è un tempo della storia e una storia che continua a vivere senza tempo. È certo che ogni storia è sempre parziale e resta, come sempre, un viaggio, ma anche un vissuto, incompiuto.
Si tratta di una legge che permette di non chiudere definitivamente i capitoli della nostra esistenza. Tra i cassetti delle scrivanie della mia grande casa di paese ritrovo quaderni, appunti, foglietti sparsi di mio padre. Ho ritrovato anche le date di alcuni appuntamenti.
Posso dire con consapevolezza che se il paese che ha visto le mie radici rimane San Lorenzo, la città che mi ha formato è stata Cosenza. Anche il liceo che ho frequentato a Spezzano era una sezione staccata del Liceo G.B. Scorza di Cosenza, poi il mio percorso scolastico è stato altro ed è qui che zio Mariano ha avuto un ruolo fondamentale e decisivo.
Incontro spesso amici che lo hanno conosciuto.
Come è misterioso il cammino. Ma resta, comunque, centrale l’amore tra i cinque fratelli: Adolfo, Mariano, mio padre Virgilio Italo, Gino e Pietro. Una solidarietà e una intesa che si sono portati nel sangue.
Sangue Bruni e Gaudinieri.
Cinque fratelli che hanno posto al centro sempre l’amore, la dignità, l’orgoglio e quella antica nobiltà che la si eredita perché alla fine poi diventa, inconsapevolmente, parte integrante del proprio vivere, ma anche del proprio stile e del proprio essere.
Gli anni sono passati. Possono passare epoche ma io vorrei che questa famiglia non dimenticasse mai di essere Bruni e Gaudinieri.
I miei figli, i figli dei figli dei cinque fratelli non devono, non possono, dimenticare.
E questo non dimenticare dovrebbe diventare un riferimento nonostante il passare e il passaggio di anni e di stagioni.
Chi ha avuto una nobiltà, quell’eleganza dell’essere nobile, nel sangue e nei comportamenti, non può che restare perno centrale nella vita della famiglia e nello stile.
Io continuo a credere a questo senso della tradizione perché la tradizione non è mai un vizio. È sempre una virtù.
Quando mio padre è andato via, tra i suoi sette gradini come egli stesso diceva, è andato via il depositario di una storia che io posso decifrare, ora, soltanto con i ricordi e con gli incontri che il destino mi ha offerto.
Ho letto negli incontri pagine che non conoscevo.
Ci sono patrimoni che non possono essere scalfiti. Patrimoni che restano nel sangue.
I cinque fratelli sono stati storia e hanno rappresentato la storia.
Siamo noi, gli eredi, quegli eredi che credono nella continuità di un legame nella tradizione dei valori e dei comportamenti, che non devono arrendersi e devono guidare la nave tra gli orizzonti e le frontiere.
Provo gioia e mi ritrovo e ritrovo antichi costumi quando discuto con Antonella, la figlia di zio Adolfo.
Provo orgoglio, felicità, per tutto un passato mai dismesso dalla mia anima, e sorriso quando ascolto le parole di Giulia di zio Mariano, il vero punto di riferimento dei Bruni – Gaudinieri.
Perché lei, Gilia di zio Mariano e zia Maria, è la sintesi di una storia e di conoscenze che riprendono vita pur nella distanza di epoche e di temperie.
Non conoscevo lo stemma dei Gaudinieri, eppure ho scritto un libro, quando è morto mio padre, dal titolo “Come un volo d’aquila”.
Lo stemma con l’aquila è, da parte mia, conoscenza recente…
Ma il destino legge sempre nel cuore e nell’anima e i simboli vivono in noi inconsapevolmente. Ma sono fatti che ho già scritto e raccontato.
E qui finisco il mio scrivere e come don Fabrizio resto ad osservare le stelle o a cercarle o a dialogare con loro.
Mia dolce notte o mia dolce stella, il cammino è lungo, ma la lunghezza del cammino ha anche scorciatoie…
Resterò affacciato alla finestra che butta sul mare e in cielo le stelle hanno il loro intreccio e il loro destino…
I cinque fratelli non sono solo storia. Sono nella vita dei destini… che mi accompagnano che ci accompagnano…
Non esiste una storia che sia verità o che possa essere considerata la verità.
Ogni generazione ha una sua storia vissuta nel tentativo di afferrare il tramite tra il sapere la conoscenza con il dividere la realtà. In questa frattura si consuma il senso e l'abbandono, la caduta e la dignità, l'orgoglio e la consapevolezza di una tradizione che ha la sua profonda nobiltà.
Spesso penso al viaggio che mio padre ha attraversato.
Spesso ritrovo, nel ricordo che i cinque fratelli mi hanno consegnato, un tempo mancante, ma ricco, imponente, forte che cammina lungo i miei passi.
Cinque fratelli che hanno disegnato quella storia che oltre a ricamare il tempo ha tracciato un destino.
Il concetto di destino resta legato profondamente al passaggio dei cinque fratelli che hanno viaggiato tra un presente sempre rimasto presente e una tradizione che ha la ramificazione forte nel concetto di eredita spirituale.
Io ho vissuto e vivo nel cuore della dignità.
Una dignità che ha permesso alla mia e nostra storia di restare storia nel destino e semplicemente di vivere tutto ciò dentro una griglia simbolica.
L'aquila è un simbolo fondamentale.
L'aquila che è lo stemma della famiglia Giardinieri porta sul capo una corona. Sono rimasto a lungo a riflettere su questa visione fatta di archetipi.
Ho già detto che l’aquila e il serpente (serpentello) sono i due simboli che caratterizzano il vero e proprio “topos” di una famiglia che ha segnato un percorso nella storia di civiltà. Ma ciò non è ricordo.
La storia che vive nel tempo attraverso la cifra dei documenti ma la memoria, a volte, è più forte degli stessi documenti di ciò che mia figlia chiama le fonti e sulle quali si basa, secondo lei, assillandomi a volte, tutta la dimensione della storia.
È vero, ma io, proustianamente, resto legato al racconto che vive di ricordi, di dettagli, di piccoli segni.
Di quei piccoli segni che ci hanno portato a ricostruire il disegno di una famiglia e che Giulia, Giulia che chiamavamo di Cosenza, Giulia di zio Mariano e zia Maria, mi ha permesso di leggere con un quadro in cui l’immagine e il ricordo sono un intreccio forte.
Nella vita basta, a volte, un piccolo angolo che non vedi più da anni e poi rivedi, per costruire un viaggio. Ho sempre un luogo fisso nel mio immaginario che è lo studio di zio Mariano nella casa di Cosenza di Viale del Re, come si chiamava, la via, una volta. È diventato per me un quadro, poi uno specchio, poi un luogo – pensiero.
Forse proprio nei dialoghi antichi con lui, in quei dialoghi di affetto e di rimproveri, ho ritrovato, ricordando e ricostruendo, una memoria che nel tempo che passa rimane come testimonianza e come insegnamento.
Io a lui, a zio Mariano, devo molto. Un capitolo già scritto e che non dimentico mai.
Ora che ho rivisto le sue foto, la sua giovinezza tra piccole e grandi immagini, in una Roma che mi ha appartenuta e mi appartiene ho ritrovato molte somiglianze.
Una città, un paese dal quale siamo partiti, un lavoro sulle scienze e sulle matematiche da parte di Mariano, un paese, una città e un lavoro forte sulle letteratura e sulla cultura umanistica da parte mia.
Luoghi che sono stati suoi sono stati e continuano ad essere anche miei.
Poi c’è anche Taranto. Zio Mariano ha amato Taranto. In quanti Esami di Stato, nelle Commissioni scolastiche, è stato protagonista Mariano proprio a Taranto e quel mare di molte sue estati è diventato poi il mio mare.
Osservare la vita con la forte passione, tuffandosi dentro le questione, e il saper vivere anche con distacco.
Non mi ha meravigliato tanto quando, non molti giorni fa, un conoscente di antica data mi ha detto che vedendomi gli ho portato negli occhi l’immagine di Mariano, di zio Mariano, di Don Mariano come continuano tutti, ricordandolo, a chiamarlo a San Lorenzo del Vallo.
È proprio vero che c’è un tempo della storia e una storia che continua a vivere senza tempo. È certo che ogni storia è sempre parziale e resta, come sempre, un viaggio, ma anche un vissuto, incompiuto.
Si tratta di una legge che permette di non chiudere definitivamente i capitoli della nostra esistenza. Tra i cassetti delle scrivanie della mia grande casa di paese ritrovo quaderni, appunti, foglietti sparsi di mio padre. Ho ritrovato anche le date di alcuni appuntamenti.
Posso dire con consapevolezza che se il paese che ha visto le mie radici rimane San Lorenzo, la città che mi ha formato è stata Cosenza. Anche il liceo che ho frequentato a Spezzano era una sezione staccata del Liceo G.B. Scorza di Cosenza, poi il mio percorso scolastico è stato altro ed è qui che zio Mariano ha avuto un ruolo fondamentale e decisivo.
Incontro spesso amici che lo hanno conosciuto.
Come è misterioso il cammino. Ma resta, comunque, centrale l’amore tra i cinque fratelli: Adolfo, Mariano, mio padre Virgilio Italo, Gino e Pietro. Una solidarietà e una intesa che si sono portati nel sangue.
Sangue Bruni e Gaudinieri.
Cinque fratelli che hanno posto al centro sempre l’amore, la dignità, l’orgoglio e quella antica nobiltà che la si eredita perché alla fine poi diventa, inconsapevolmente, parte integrante del proprio vivere, ma anche del proprio stile e del proprio essere.
Gli anni sono passati. Possono passare epoche ma io vorrei che questa famiglia non dimenticasse mai di essere Bruni e Gaudinieri.
I miei figli, i figli dei figli dei cinque fratelli non devono, non possono, dimenticare.
E questo non dimenticare dovrebbe diventare un riferimento nonostante il passare e il passaggio di anni e di stagioni.
Chi ha avuto una nobiltà, quell’eleganza dell’essere nobile, nel sangue e nei comportamenti, non può che restare perno centrale nella vita della famiglia e nello stile.
Io continuo a credere a questo senso della tradizione perché la tradizione non è mai un vizio. È sempre una virtù.
Quando mio padre è andato via, tra i suoi sette gradini come egli stesso diceva, è andato via il depositario di una storia che io posso decifrare, ora, soltanto con i ricordi e con gli incontri che il destino mi ha offerto.
Ho letto negli incontri pagine che non conoscevo.
Ci sono patrimoni che non possono essere scalfiti. Patrimoni che restano nel sangue.
I cinque fratelli sono stati storia e hanno rappresentato la storia.
Siamo noi, gli eredi, quegli eredi che credono nella continuità di un legame nella tradizione dei valori e dei comportamenti, che non devono arrendersi e devono guidare la nave tra gli orizzonti e le frontiere.
Provo gioia e mi ritrovo e ritrovo antichi costumi quando discuto con Antonella, la figlia di zio Adolfo.
Provo orgoglio, felicità, per tutto un passato mai dismesso dalla mia anima, e sorriso quando ascolto le parole di Giulia di zio Mariano, il vero punto di riferimento dei Bruni – Gaudinieri.
Perché lei, Gilia di zio Mariano e zia Maria, è la sintesi di una storia e di conoscenze che riprendono vita pur nella distanza di epoche e di temperie.
Non conoscevo lo stemma dei Gaudinieri, eppure ho scritto un libro, quando è morto mio padre, dal titolo “Come un volo d’aquila”.
Lo stemma con l’aquila è, da parte mia, conoscenza recente…
Ma il destino legge sempre nel cuore e nell’anima e i simboli vivono in noi inconsapevolmente. Ma sono fatti che ho già scritto e raccontato.
E qui finisco il mio scrivere e come don Fabrizio resto ad osservare le stelle o a cercarle o a dialogare con loro.
Mia dolce notte o mia dolce stella, il cammino è lungo, ma la lunghezza del cammino ha anche scorciatoie…
Resterò affacciato alla finestra che butta sul mare e in cielo le stelle hanno il loro intreccio e il loro destino…
I cinque fratelli non sono solo storia. Sono nella vita dei destini… che mi accompagnano che ci accompagnano…