Ulisse o si ascolta come c’era una volta o finisce nella storia…
Pierfranco Bruni
Ho incontri che danzano nella notte. Sono incontri di voci.
Le voci mi portano oltre il limite. Cosa è il limite?
Ricordo soltanto che la magara partiva spesso verso i luoghi dell'assenza perché sapeva che chi coltiva l’assenza ha sempre ragione.
La ragione cosa cerca?
Sono due le voci che dialogano. Nella notte. Inseparabile con i fantasmi che bussano alle mie parole. Rimango nel mio silenzio e ascolto.
Non conosco i loro nomi.
O forse sì? Ma non ha alcuna importanza. Tutto alla fine diventa favola o disperazione!
Allora. Ascolto.
Sono due voci: una di donna, una di maschio.
Lui: “La ragione cerca la verità. Conoscere la verità è cercarsi oltre ogni solitudine perché è qui che si ascoltano le voci a tre passi della luna”.
Lei: “Le tante verità si trovano disseminate lungo le strade che vanno dall’eterno ritorno al ritorno all’eterno. Cercare le verità esige il sacrificio dell'io. Riuscire a guardare i diversi volti delle verità ha come controparte la cecità”.
Lui: “Forse proprio per questo Omero era cieco e Ulisse interrogava Tiresia. La magara conosce i segreti come Tiresia e i segni del mito apparente si trasformano in simboli. Quello invisibile e immaginario diventa viaggio”.
Lei: “Tiresia, Tiresia, tu profeta dall'incredibile curiosità… dimmi perchè il sapere, specchiandosi nella sua splendente e armoniosa forma, si esalta e si arrovella nel voler a tutti i costi sapere più di quanto sia in grado di capire o reggere?”.
Lui: “Forse. Potrei. Ma io mi fermo al sapere? Voglio precisare. Si proprio vero..quando usiamo il termine c'era una volta entriamo direttamente negli archetipi del mito e non nella storia... è in fondo ancora una volta una metafisica antropologica o diamo voce ad una antropologia della metafisica del mistero”.
Lei: “Ulisse era un viaggiatore non un errante. Errante è chi si risveglia dal sonno alla sua vera identità di essere spirituale. Chi si sveglia non può mai più tornare indietro”.
Lui: “Hai ragione. Ma Ulisse viaggiò da Errante. Affidandosi al fato e non alla ragione. La ragione era il senso del ritorno. Ma affidarsi al fato è non sapere di conoscere. Non conosceva la rotta. Giunge ad Itaca per destino e non per ragione. Enea compie un Baggio diverso. Tra Mosè Enea e Ulisse è proprio quest'ultimo che di ancora al destino. O no? Viaggiava per ritornare certamente. Ma il nostos è diventato erranza. Proprio per il canto di Circe di Calipso di Nausica delle Sirene. Con Calipso è un errante. Ad Itaca si accorge che il nostos si è compiuto. Secondo Omero. Quindi è viaggio ed erranza. Dante è un altro discorso e diventa teologia. Ma il tutto è mistero”.
Lei: “Io penso che Ulisse sia andato alla ricerca del proprio io. È questo che fa di lui l’eroe moderno. Lui è diverso dagli eroi dell’Iliade che invece esprimevano sentimenti elementari agiti dal Fato o dalle divinità. L’Io si manifesta nel corso di un viaggio. Non ha importanza la misura spaziale e temporale di quel viaggio. Hanno importanza invece i cambiamenti, gli incontri, il nascere o l’offuscarsi della coscienza che avvengono durante quel viaggio che per tutti noi è la vita. L’Odissea è un viaggio durante il quale l’Io si definisce. L'erranza è invece l'andare verso la propria identità di creatura spirituale mon amour…”.
Lui: “Tutto finisce con uno schianto. Accade alla luna. Accade al silenzio. Accade all'anima dopo le notti di sole tondo. Poi arriva il crepuscolo e ascolto la voce della magara che mi racconta ciò che già sapevo ma non avevo mai pensato di conoscere. Conoscere è un sapere altro. Io non potrò mai sapere quanti baci possano bastare, mia Lesbia. Cantava Catullo. Non sapeva. Ma era a conoscenza. Tiresia è partita e il viaggio si è interrotto. Ulisse è un fantasma e la vera voce del viaggio non è Enea ma Didone”.
Le voci diventano fioche. Cerco di percepire altri suoni.
Altri echi.
Cerco di catturare lontananze.
Due voci insieme, nella leggerezza del vento, sembrano rivolgersi verso dove sono seduto, sui gradini della piazza, e sembrano dirmi:
“Quando il tuo tempo è finito non tutto il tempo finisce. Ma il tuo sì. L'orologio non sposta la storia, ma è la storia che cronometra lo spazio dell'assenza e ogni ricordo misura un vuoto una mancanza un tentativo di ricerca. È qui che l'impossibile diventa non più il possibile che si pensava fattibile infinito. C’era una volta… Tutto diventa mito e favola… Sai oggi Ulisse o si ascolta come c’era una volta o finisce nella storia… Finire nella storia significa accettare di essere dimenticato… Restare senza memoria…”.
Resta soltanto il buio. E la notte con la luna rimbomba tra le luci che mi osservano…
Pierfranco Bruni
Ho incontri che danzano nella notte. Sono incontri di voci.
Le voci mi portano oltre il limite. Cosa è il limite?
Ricordo soltanto che la magara partiva spesso verso i luoghi dell'assenza perché sapeva che chi coltiva l’assenza ha sempre ragione.
La ragione cosa cerca?
Sono due le voci che dialogano. Nella notte. Inseparabile con i fantasmi che bussano alle mie parole. Rimango nel mio silenzio e ascolto.
Non conosco i loro nomi.
O forse sì? Ma non ha alcuna importanza. Tutto alla fine diventa favola o disperazione!
Allora. Ascolto.
Sono due voci: una di donna, una di maschio.
Lui: “La ragione cerca la verità. Conoscere la verità è cercarsi oltre ogni solitudine perché è qui che si ascoltano le voci a tre passi della luna”.
Lei: “Le tante verità si trovano disseminate lungo le strade che vanno dall’eterno ritorno al ritorno all’eterno. Cercare le verità esige il sacrificio dell'io. Riuscire a guardare i diversi volti delle verità ha come controparte la cecità”.
Lui: “Forse proprio per questo Omero era cieco e Ulisse interrogava Tiresia. La magara conosce i segreti come Tiresia e i segni del mito apparente si trasformano in simboli. Quello invisibile e immaginario diventa viaggio”.
Lei: “Tiresia, Tiresia, tu profeta dall'incredibile curiosità… dimmi perchè il sapere, specchiandosi nella sua splendente e armoniosa forma, si esalta e si arrovella nel voler a tutti i costi sapere più di quanto sia in grado di capire o reggere?”.
Lui: “Forse. Potrei. Ma io mi fermo al sapere? Voglio precisare. Si proprio vero..quando usiamo il termine c'era una volta entriamo direttamente negli archetipi del mito e non nella storia... è in fondo ancora una volta una metafisica antropologica o diamo voce ad una antropologia della metafisica del mistero”.
Lei: “Ulisse era un viaggiatore non un errante. Errante è chi si risveglia dal sonno alla sua vera identità di essere spirituale. Chi si sveglia non può mai più tornare indietro”.
Lui: “Hai ragione. Ma Ulisse viaggiò da Errante. Affidandosi al fato e non alla ragione. La ragione era il senso del ritorno. Ma affidarsi al fato è non sapere di conoscere. Non conosceva la rotta. Giunge ad Itaca per destino e non per ragione. Enea compie un Baggio diverso. Tra Mosè Enea e Ulisse è proprio quest'ultimo che di ancora al destino. O no? Viaggiava per ritornare certamente. Ma il nostos è diventato erranza. Proprio per il canto di Circe di Calipso di Nausica delle Sirene. Con Calipso è un errante. Ad Itaca si accorge che il nostos si è compiuto. Secondo Omero. Quindi è viaggio ed erranza. Dante è un altro discorso e diventa teologia. Ma il tutto è mistero”.
Lei: “Io penso che Ulisse sia andato alla ricerca del proprio io. È questo che fa di lui l’eroe moderno. Lui è diverso dagli eroi dell’Iliade che invece esprimevano sentimenti elementari agiti dal Fato o dalle divinità. L’Io si manifesta nel corso di un viaggio. Non ha importanza la misura spaziale e temporale di quel viaggio. Hanno importanza invece i cambiamenti, gli incontri, il nascere o l’offuscarsi della coscienza che avvengono durante quel viaggio che per tutti noi è la vita. L’Odissea è un viaggio durante il quale l’Io si definisce. L'erranza è invece l'andare verso la propria identità di creatura spirituale mon amour…”.
Lui: “Tutto finisce con uno schianto. Accade alla luna. Accade al silenzio. Accade all'anima dopo le notti di sole tondo. Poi arriva il crepuscolo e ascolto la voce della magara che mi racconta ciò che già sapevo ma non avevo mai pensato di conoscere. Conoscere è un sapere altro. Io non potrò mai sapere quanti baci possano bastare, mia Lesbia. Cantava Catullo. Non sapeva. Ma era a conoscenza. Tiresia è partita e il viaggio si è interrotto. Ulisse è un fantasma e la vera voce del viaggio non è Enea ma Didone”.
Le voci diventano fioche. Cerco di percepire altri suoni.
Altri echi.
Cerco di catturare lontananze.
Due voci insieme, nella leggerezza del vento, sembrano rivolgersi verso dove sono seduto, sui gradini della piazza, e sembrano dirmi:
“Quando il tuo tempo è finito non tutto il tempo finisce. Ma il tuo sì. L'orologio non sposta la storia, ma è la storia che cronometra lo spazio dell'assenza e ogni ricordo misura un vuoto una mancanza un tentativo di ricerca. È qui che l'impossibile diventa non più il possibile che si pensava fattibile infinito. C’era una volta… Tutto diventa mito e favola… Sai oggi Ulisse o si ascolta come c’era una volta o finisce nella storia… Finire nella storia significa accettare di essere dimenticato… Restare senza memoria…”.
Resta soltanto il buio. E la notte con la luna rimbomba tra le luci che mi osservano…